La recensione: “Kali Yuga”, Kynesis #TraKs

KynesisDomanda: qual è il sito/blog che confeziona le migliori e più sorprendenti anteprime ed esclusive di musica indipendente italiana, senza preoccuparsi del genere ma soltanto della qualità della musica proposta? TraKs! (Vi aspettavate che dicessi Rockit? E allora andate a fare un giro che qui ho da fare).

Anche questa volta abbiamo deciso di sorprendervi con un disco di heavy metal di grande spessore: si tratta di Kali Yuga dei torinesi Kynesis, che già con questo esordio si collocano fra le realtà italiane più interessanti del genere.

Il disco si può ascoltare (ed eventualmente scaricare in free download) in anteprima esclusiva solo e soltanto qui, visto che uscirà ufficialmente tra una settimana:

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Si parte con le geometrie articolate di Enter the Dark Age, con armeggi all’oscuro che introducono bene al mood generale del disco: va precisato che “Kali Yuga” in lingua vedica significhi appunto “età oscura”, quindi tutto torna.

I giri del motore si alzano davvero con la seguente I, Iconoclast. Qui si pesca sul serio nei discorsi del metal, con un procedimento ricco di aggressività che si espande sugli otto minuti complessivi del pezzo, con situazioni molto differenti e un’alternanza di momenti di battaglia e di pace relativa.

Sostanzialmente senza sosta si procede con Gods from Ancient Skies, che porta avanti la tematica divino/mitologica con la potenza delle chitarre, cui fa però da contraltare la melodia delle tastiere.

The Screamer può riportare, per tipo di sonorità, ai primi Metallica, ma anche in questo caso la potenza della band non è l’unica proposta, vista la morbidezza delle tastiere e di tanto in tanto l’addolcirsi del cantato.

Karma riprende la tematica “spaziale”, una costante dei pezzi strumentali del disco, senza smarrire il fil rouge orientale, che in realtà si limita per lo più ai titoli. Ma del resto sarebbe stato sorprendente se, in un disco così, ci fosse stato spazio anche per sitar o simili. In compenso c’è però spazio per una chitarra insolitamente dolce.

L’umore riflessivo e non troppo aggressivo prosegue con la prima parte di Redrum, anche se quando entrano le chitarre lo fanno con un piglio piuttosto distruttivo. E il cantato non restituisce certo serenità al tutto: anche qui va apprezzata la gradualità nel costruire il progetto del brano, inserendo un elemento alla volta.

Ex-Stasis propone un’alternativa sostanziale a quanto proposto fin qui visto che è cantata in italiano, anche se l’irruenza vocale rende gran parte del testo poco comprensibile. Al contrario che in altri brani, qui metallo furente e melodia non convivono fianco a fianco per tutto il tempo ma si dividono gli spazi, con un’oasi di tranquillità a metà brano.

La strumentale e tranquilla Chakra lascia spazio a Pancosmic Being, che procede con dosi abbondanti di poesia oscura. E se si pensa che, avvicinandosi il finale del disco, i toni si possano abbassare, ci si accorge presto dell’errore.

Monad parte infatti con tutta l’aggressività di cui la band dispone, anche se dopo circa un minuto e mezzo il panorama cambia totalmente (forse il pianeta cambia totalmente) e si decolla per lidi molto più tranquilli.

I punti di riferimento cambiano del tutto e ci si trova immersi in una sorta di film di fantascienza, la cui colonna sonora potrebbe ricordare i Pink Floyd, o perfino qualche idea del Bowie degli anni Settanta.

Particolarmente apprezzabile, all’interno del disco, la capacità dei Kynesis di gestire il proprio bipolarismo sostanziale: da una parte la furibonda volontà di distruzione rappresentata dalla maggior parte delle sonorità, dall’altra un rispetto per la melodia dal quale non prescinde alcun brano.

Visto il genere di riferimento, questo dualismo non è sempre semplicissimo da gestire, ma la band dimostra grande maturità nell’accogliere istanze differenti. E il risultato è un disco mai noioso, del quale si possono apprezzare in pieno le molte sfaccettature differenti.

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