Con gusti musicali piuttosto variegati alle spalle, i Silence, Exile & Cunning, nati nel 2012, arrivano al primo lavoro “lungo” con ON, che uscirà il prossimo 5 febbraio (ma che TraKs, con la sagacia che ci contraddistingue, ha già recensito qui). Un esordio notevole, concreto e maturo, del quale abbiamo chiesto conto alla band.
Nati nel 2012, un EP e ora il grande passo: come siete arrivati alla realizzazione dei brani di “ON” e quali idee avevate in mente?
Lore : Di fatto l’abbiamo sempre promosso come un EP, ma era difficile considerare Exù tale. Era troppo lungo per essere un EP, anche se di certo non era un album.
Jemba : Più che altro era un album all’87%
L : Di sicuro, quello che ha sempre guidato il nostro lavoro è la necessità di confrontarci continuamente con sonorità nuove, anche all’interno dello stesso disco, motivo che può portare in effetti a percepire ON come “un’entità camaleontica”, come è stato definito di recente. Comunque, rimane la necessità di mantenere un’omogeneità sonora di fondo, che faccia sì che quello che si ascolta sia effettivamente il disco di una band, e non una compilation di artisti diversi.
J : A parte questo, ON non ha la forma di un concept album, non c’è stata una vera e propria idea di base da seguire nella proposta dei pezzi e nella realizzazione, quanto una necessità artistica di espressione, bisogni e pensieri oltre le parole.
L : Concretamente succedeva che io e Jemba portavamo in saletta i pezzi che avevamo scritto nelle loro forme essenziali, su cui ci premeva maggiormente lavorare insieme, per il semplice fatto che ci sembravano i più significativi. In fase di preproduzione siamo arrivati quindi con 13 pezzi completi, di cui uno è stato poi scartato perché poco significativo, ma di fatto avevamo già a quel punto le idee chiare sull’eterogeneità dei dodici pezzi che ora compongono ON.
J : Al suo interno ci sono brani per noi più vecchi, come “Solipsistic Feel”, o “Clip 22” e brani più recenti come “Germ” e “Wildify” che in realtà sono stati completati solo pochi giorni prima delle preproduzioni.
Avete posto una certa enfasi sul titolo del disco, “ON”: potete spiegare perché?
J : Ho avuto io l’idea del titolo ”ON”, che ha avuto un parto lungo. Avevo raggiunto questa idea lavorando alla prima copertina per l’album, mi piaceva utilizzare un acronimo senza un senso definito preciso. Pian piano però si è fatto largo un significato, il primo che mi è venuto in mente per spiegarlo, cioè “Opaque Nuisance”, cioè “Tormento Opaco”, che mi sembrava potesse cogliere il sound delle composizioni all’interno dell’LP. Per cui, in sostanza, ON significa “Opaque Nuisance”.
L : è proprio vero quando scriviamo che “ON è un titolo arbitrario a cui ognuno può affibbiare diversi significati.” Il resto deve venire da sé. Il grosso non verrà da noi.
Il disco sembra avere molte anime e molte fonti di ispirazione. Come vi ha aiutato Marco Torriani e perché avete scelto lui per la produzione del disco?
L : Toria ha avuto proprio il compito di operare una sintesi delle molte anime presenti nel disco, lavorando in questa direzione sul suono dell’insieme e delle singole parti. Il lavoro con lui è iniziato nei primissimi mesi del 2014, dapprima in saletta, dove però ha limitato le proprie osservazioni poiché non intendeva intervenire sull’aspetto compositivo dei pezzi, poi in studio, dal febbraio del 2015 (data in cui abbiamo lavorato alle preproduzioni) fino all’incirca a settembre, quando il lavoro di incisione si è concluso.
E’ in questa fase che ha lavorato in maniera più marcata, per trovare quelle sonorità uniche che potessero calzare a pezzi tanto diversi. E se infatti ci si fa caso, un’omogeneità in quel senso si può sentire, al di là del fatto che i pezzi sono volutamente di carattere molto diverso tra loro.
Silence, Exile & Cunning: canzoni potenzialmente infinite
J : ”Suicide Side” nasce come pezzo solo vocale, privo di parti di chitarra, se non per qualche appoggio con accordi, che ho scritto la notte stessa – o il giorno dopo – del concerto degli Alt-J ai Magazzini Generali nel 2012, in cui eravamo spettatori. Da allora è sempre stato in attesa.
Un giorno, in saletta, avevamo appena terminato le nostre due ore di prove e si è iniziato a parlare della possibilità di lavorarci, dandogli una forma ben definita, una canzone che per me non l’aveva mai avuta e che tutt’ora tendo a pensare come potenzialmente infinita.
Ho provato subito a mettere il delay a 50 bpm o giù di lì, e a mandare un loop di sol grave. A quel punto ci siamo messi in cerchio e abbiamo provato a cantare su questa base minimale la linea vocale, e da quel momento fino all’anno dopo abbiamo cercato di smussare anche altre parti che sono venute naturalmente con l’avanzare delle idee. L’approccio volevamo fosse sempre molto minimal.
L : E’ stato uno dei pezzi che ha richiesto più lavoro, forse proprio per rendere quell’idea che avevamo in mente, che fosse un pezzo fluido, davvero potenzialmente eterno e privo di una struttura rigida. In questo senso ci sono alcune cose che hanno giocato a nostro favore. Il beat che la batteria suona per esempio è spostato di un ottavo rispetto al resto, e trovo che dia al brano l’idea di cadere continuamente su se stesso, in una sorta di incedere continuo che potrebbe durare per sempre.
Anche la struttura “a loop” delle altre parti lavora in questo senso. Personalmente, ci ho tenuto molto al lavoro fatto sulle voci e sul coro, su cui in studio non abbiamo davvero fatto economia. In questi due modi intendevamo congiungere il carattere “loop”, fluido, tipicamente non pop, forse più elettronico, con una coralità d’atmosfera, suggestiva. Speriamo che tutto questo emerga dal pezzo.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
A parte gli strumenti “base” della formazione (Chitarre Epiphone/Gibson Les-Paul Standard / Gibson SG; Fender Telecaster Deluxe; Basso Fender Jazz Bass; Batteria Sonor S Classix) dentro questo disco sono stati fondamentali:
– Roland Re-20; è una eco a nastro analogica, molto calda, che ha fatto davvero un buon lavoro in moltissimi dei 12 pezzi;
– Pedali (troppi da elencare. J: Su Instagram ho messo una foto della Pigna che avevo durante il reamp delle tracce di chitarra);
– Stylophone;
– Amplificatore pacchetto Camel (è un amplificatore ricavato all’interno di un pacchetto di sigarette Camel, responsabile dell’inizio di “S.G.A.N.G.A.R.A.”);
– Vino;
– Vino;
– Vino;
– Maracas;
– Cibo cinese;
– Korg KP-3 e Roland VT-3; sono due console che permettono di modificare la voce in modo molto divertente;
– Pizza;
– Cotolette.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
J : non amo particolarmente la musica italiana, per ora sono pochi gli artisti che ritengo validi internazionalmente. Di sicuro vorrei menzionare:
– C’MON TIGRE. Tra il Trip Hop ed il Jazz con sonorità esotiche e sempre con molta eleganza. Mi hanno conquistato subito a Chiaverano (A Night Like This Festival), riescono ad avere groove ed espressività d’atmosfera con una semplicità disarmante. Poi il cantante suona un Farfisa enorme. Sono da tenere d’occhio e da ascoltare.
– UOCHI TOKI. Colti, sperimentali, con gusto, rabbiosi, esseri di pensiero, cantori della spiritualità e del dinamismo. Se mi sentissero mi manderebbero a cagare. Li adoro.
– IOSONOUNCANE. Su “DIE” si è già detto tutto in quest’anno. E’ decisamente uno dei migliori album che siano usciti nella penisola da molto tempo. Sapiente l’uso del prog e dell’elettronica, del tenore sardo e del cantautorato italiano di sorta. Jacopo è un eroe dei nostri tempi e gli chiedo scusa se quando l’ho visto da ubriaco l’ho importunato, ma ricordo che si rideva, quindi va tutto bene.
– LE CAPRE A SONAGLI. Si meritano ogni menzione, non solo perché sono nostri cari amici, ma anche perché se sei fortunato ai loro concerti puoi assaggiare grappe artigianali che invidio molto. Sono fantastici, intrisi di Stoner “bucolico”e sporcizia da rudere assieme a ritmi tribali con accenni di Celentano ubriaco, perfetto così.
– MIKE TAKESHI/ZONA MC. Perché il sano rap aulico sta distruggendo ogni schema nell’hip hop di sorta. Bravi.
– NATURAL DUB CLUSTER. Li ho sentiti in Birroteca, un festival dalle nostre parti. Hanno sonorità dub, con cassa dritta e rabbiosa, con parti vocali ed effetti tendenti all’elettronica tedesca ed occhiolini ai Massive Attack.
L: Anche io apprezzo molto IOSONOUNCANE, C’MON TIGRE, LE CAPRE A SONAGLI ma mi sento di aggiungere:
– CALIBRO 35. Ci sono i periodi in cui ascolto a ripetizione solo i loro dischi. Credo che basti andare a un loro concerto e avere un paio di orecchie per capire cosa intendo. Sono quattro musicisti eccezionali con un’idea molto chiara del suono che intendono raggiungere.
– M+A. Il loro pop è di ottima qualità, molto ritmato ma molto pulito e trovo che dietro ai pezzi ci sia una scrittura semplice ma mai banale. L’ultimo loro LP, “These Days” (2013) l’ho letteralmente consumato e non vedo l’ora esca il nuovo materiale a cui pare stiano lavorando.
– GODBLESSCOMPUTERS. Tra “Veleno” e “Plush and Safe”, Lorenzo incide proprio il tipo di elettronica di cui ho bisogno, incredibilmente chill ma sempre in grado di farti muovere, mai troppo seduta. Credo sia una buona cosa per il panorama nazionale.
– SELTON. Oltre a essere quattro ottimi musicisti e degli amici, scrivono dei pezzi davvero variegati, in cui si sente tanto di caraibico e tanto di beatlesiano, e già solo questo personalmente mi basta. In “Saudade” poi ci sono alcuni pezzi che porto davvero nel cuore, li ascolto sempre molto volentieri.