Recensione: Siranda, “La Scatola del male”

I Siranda presentano il loro primo full lenght dal titolo La Scatola Del Male: la band siracusana pubblica un disco con influenze di vario tipo che spaziano dalla canzone d’autore al rock alternativo. Il disco è stato prodotto a Floridia (SR) dalla stessa band fra il 2012 e il 2014, dopo varie sessioni di registrazione in studio.
Siranda traccia per traccia
Si parte dalle note de Il tuo veleno, un rock moderato ma non morbido, che può ricordare qualche brano di rock italiano anni Novanta (segnatamente i Litfiba). Struttura rock, ma più variegata e più riferita a suoni post grunge, quella di Apparentemente, con un buon lavoro di basso.
La Scatola gioca un po’ con i ritmi e si lancia in un peana (al contrario) nei confronti della “scatola” cioè la televisione. (Di) Amanti rallenta un po’ muovendosi in un sottobosco piuttosto fitto di sonorità, scegliendo per una volta la dimensione privata per l’argomento del testo.
Qualche spunto ironico e molta voglia di correre in Calle California, piuttosto “americana” e gridata, con una chitarra che non si vergogna di essere roboante. Si torna a sensazioni più oscure e a suoni vicini allo stoner con Ombre, tra le più aggressive e, non a caso, tra le più oscure del disco.
L’orchestra delle idee si muove su linee diverse, partendo piano ma accelerando progressivamente, con le chitarre a recitare diversi ruoli in commedia. Silenzio Blu è tutt’altro che silenziosa: anzi è un brano molto spinto con tratti vintage, nonché del tutto strumentale. Si chiude con Il lamento di Danae, che dopo un inizio calmo e ipnotico, si anima e prende le forme di una piccola suite dai tratti progressive.
Lo spartito è per lo più abbastanza semplice, ma non banale: i Siranda confezionano un disco dai tratti interessanti, dalle sonorità robuste e solide, piuttosto ispirato e che può far ben sperare per il futuro della band.