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kraanston

Una bella dose di metal e di sludge non si nega a nessuno: arrivano i Kraanston, che pubblicano l’esordio Dead Eyes ep. Quattro tracce piuttosto furenti, di cui puoi ascoltare lo streaming qui sopra. Abbiamo intervistato Fabio Insalaco e Andrea Bonamigo, che insieme a Stefano Moda compongono la band.

Potete riassumere la vostra storia fin qui e spiegare il nome della band?

Fabio: Ciao a tutti i lettori! La band nasce verso febbraio di quest’anno, quando ho deciso di dare vita ad alcune composizioni che credevo già piuttosto cariche di potenziale. In quel periodo il mio gruppo di provenienza (Homicide Hagridden) era oramai fermo da un po’ e avevo una gran voglia di rimettermi in gioco. Io e Andrea ci siamo trovati nel magico mondo del web, mentre con Stefano ho semplicemente riallacciato i rapporti, essendo lui il batterista del progetto sopracitato. Dopo pochissime prove ci siamo buttati, senza pensarci troppo, in alcune sudate esibizioni live… e non vediamo l’ora di tornare sul palco. Il nostro nome è semplicemente un ‘restyling’ del cognome di Brian Cranston, protagonista della serie Breaking Bad, di cui siamo grandi fans.

Andrea: Il qui presente non è nuovo alle pagine di TRAKS: ebbi modo di scambiare due chiacchiere per l’anteprima di “Throw Your Watch To The Water” dei Selfish Cales, altro mio progetto principale! Questo excursus per evidenziare sopratutto le curiose differenze di background musicale da cui sono nati i Kraanston, nove mesi fa circa. Attraverso la promozione di questo primo ep stiamo investendo sopratutto sull’attività live, ma anche sulle basi compositive per un futuribile album.

Potete raccontare qualcosa del processo di lavorazione dell’ep “Dead Eyes”?

Andrea: Dead Eyes è frutto di un agosto affiatato quanto smanioso di gettare le prime basi per la presenza web e l’attività live; con una Demo sì Home Made, ma dalla quale si potessero cogliere gli intenti del nostro progetto. L’autoproduzione è stata per lo più in mano mia e di Fabio, il quale mi ha passato le basi di chitarra e batteria su cui implementare voci, basso e un sobrio mix e master finale. L’unica sessione di registrazione che ci siamo concessi al di fuori delle mura domestiche è stata dedicata alle voci, risolte nel giro d’un paio d’ore.

Siamo soddisfatti di come è stata finora recepita la produzione di questo primo ep; sobrio e tendente al lo-fi, ma sincero. Questa sincerità d’intenti è emersa, ed è ciò che più apprezziamo nei feedback ricevuti.

Fabio: Confermo quanto detto da Andrea e aggiungo che abbiamo tentato di riversare in questo ep tutto quello che l’istinto ci suggeriva, o meglio, a posteriori questo è quello che vedo: un prodotto forse grezzo, ma sicuramente genuino, impulsivo, che mette in piazza i nostri intenti. Credo che “Dead Eyes” vada dritto al punto, ma non vi si soffermi troppo, proprio perché è in costante mutamento; una caratteristica che spero possa restare peculiare della nostra musica. Personalmente sento che davanti a noi vi sono una moltitudine di strade percorribili.

Come nasce la traccia d’apertura dell’ep, “Cargo Cult”?

Fabio: Cargo Cult ha una storia particolare. Prima di cominciare a suonare stabilmente con i miei compagni feci alcune prove con dei musicisti della mia città, i quali apprezzavano il mio modo di scrivere, ma al tempo stesso volevano che proponessi del materiale tecnicamente più accessibile. Cosi tentai di mettere in piedi una sorta di amalgama thrash / death un poco rallentata… tutto questo, abbinato al detuning strumentale, ha prodotto quello che è oggi il riff portante di Cargo Cult. Le aperture successive del brano non hanno però convinto quei ragazzi. E così, tra il semplificare ulteriormente le mie composizioni e il cercare altri musicisti, ha prevalso la seconda alternativa.

Il testo di Cargo Cult, scritto per lo più da Andrea, si riferisce a un culto (interessante quanto straniante) di alcune tribù melanesiane del secolo scorso; esse, nel vedere per la prima volta degli aerei nei loro cieli – e non riuscendo a coglierne l’effettiva natura – iniziarono a pensare che si trattasse di messaggi divini. Iniziarono così a costruire aeroplani-fantoccio e piste di atterraggio per attirare l’attenzione di quelle figure messianiche provenienti dal cielo, senza però ottenere gli effetti sperati.

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

 Andrea: Nelle registrazioni ho alternato i tre bassi che ho, scoprendo un più ampio uso della distorsione dopo numerosi anni in tutt’altre sonorità. Il lato più divertente, per me, è stato implementare alcuni intermezzi solisti col Wah Wah, ritagliandomi in quest’ultimi un approccio a tratti più chitarristico.

Fabio: Per quanto riguarda le parti ritmiche ho suonato una Fender Strato accordata in SI (che utilizzo anche da vivo), mentre per le parti solistiche, nell’ 80 % dei casi ho ricorso a una Schecter Jeff Loomis Signature 6 – FR. Nella mia pedaliera l’effetto che uso di più, oltre alla distorsione, è probabilmente il POG, un famoso pedale octaver, che irrobustisce notevolmente il sound delle parti più doom / stoner.

Potete descrivere i vostri concerti? Quali saranno le prossime date che vi vedranno coinvolti?

 Fabio: Penso che il palco sia forse l’unico luogo dove ci si può sentire veramente a casa, se alcune premesse legate a un certo amore viscerale per la musica sussistono in te (non credo nel potere dei dischi che nascono e muoiono in studio). E questo è vero per chiunque faccia musica, indipendentemente dal genere. Noi uniamo molti stili, ma il macro-campo di provenienza è il metal; questo non fa che aumentare l’impatto scenico-visivo e, in generale, l’impronta che un nostro live può lasciare in chi ci viene a vedere. Di base ricerchiamo il sudore, l’adrenalina… sperando sempre, però, di riuscire a comunicare la natura complessa del nostro progetto.

Il prossimo live dei Kraanston si terrà il 25 novembre al La Fontana di Burolo, vicino Ivrea (To), locale che sta ottenendo notevole successo nel mondo del metal underground.

Andrea: Ho sempre tenuto a una certa presenza scenica, ma coi Kraanston ho scoperto il live con una fisicità ancora più intensa, oserei dire esasperata; a volte ho avuto il timore di non arrivare alla fine del concerto, in termini di voce e forze fisiche! Vedrò di trovare il giusto compromesso, tempo ancora qualche live di rodaggio ;)
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?

Andrea: Dai, per una volta non faccio il vecchio e non tiro fuori il Progressive Italiano dei ’70s! Guardandomi intorno nella scena attuale – e in un’ ottica più ampia  – nutro un amore incondizionato per i Novembre, dei quali devo peraltro ancora ascoltare l’ultimo dischino. Amo quel loro retrogusto malinconico, unito sempre a un certo eclettismo.

Mi sento di menzionare anche i Nero di Marte, o i più storici Aborym nelle loro commistioni tra Black e Industrial Metal. Per quanto mi senta più legato al Metal, nutro anche una certa simpatìa per quel vivido filone Post-Hardcore/Screamo di cui il bel paese può andare fiero, quali i vari La Quiete, Gazebo Penguins, Fine Before You Came, Raein.

Ciò con cui non vado affatto d’accordo, piuttosto, è tutto il filone neo-cantautoriale in voga in questo decennio.

Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?

Fabio:

“Hang in agony until you’re dead” (Deicide) – E’ un brano di “To hell with god” del 2012. Non ho scelto questo pezzo per l’aggressività estrema, o meglio, non solo. Nella canzone è racchiusa una vera e propria raffinatezza, molto ben nascosta all’interno della brutalità tipica dei Deicide, che però, quando scovata, ti lascia a bocca aperta, proprio perché quasi non te la aspetti. Questa perla si trova al particolarissimo riff di chitarra che parte al minuto 1.16, con conseguente armonizzazione deliziosa con la seconda chitarra e godurioso attacco di batteria a 1.41.

“Mordecai” (Between the buried and me) – Pezzo del loro secondo album. Lo menziono per l’incredibile capacità di questa band di mischiare i generi, sapere dosare le forze e creare atmosfere quasi opposte all’interno di un singolo brano. Dal minuto 2.00 circa la carica prog-death metal (sempre apprezzata, ben inteso) cede il passo a questioni più intimiste, la voce diventa clean, i soli e le armonie che seguono sono qualcosa di assolutamente divino.

“Passenger” (Deftones) – Nell’album in questione sono al punto di massimo splendore, si ritrovano capolavori ad ogni traccia. Ho scelto questa in particolare per l’immane intensità che Moreno riesce a trasmettere. Atmosfere sottili… ma con intenti lirici e strumentali altamente esplosivi.

Ne approfitto per citarti anche i Tool di “Opiate”, che mi porto sempre dentro!

Andrea: Portate pazienza per la vena poco patriottica, che farci:

– Orchid – Capricorn: si può dire che sia uno dei gruppi più manieristi in circolazione nei confronti dei Black Sabbath, ma apprezzo molto la loro interpretazione di quel tipo di sound. Mi hanno influenzato sopratutto vocalmente: sono stati un ottimo incipit per delle voci aggressive ma attente alla melodia.

– Strapping Young Lad – Aftermath: Amo Devin Townsend, e di conseguenza amo gli Strapping Young Lad. Ritengo che siano uno dei massimi picchi esistenti nel Metal in quanto a impatto sonoro; da vendere l’animo al Diavolo per avere quei breakdown e quelle dilatazioni abissali.

– Drudkh – When The Flame Turns To Ashes: qui non c’entrano le influenze, c’è solo il gusto di dire che è il più bel brano del più bel disco Black Metal che abbia mai sentito. E’ quasi commovente.

 

Kraanston traccia per traccia

kraanstonL’ep si apre con Cargo Cult, estesa traccia da oltre sei minuti in cui, oltre all’estetica DIY, appaiono evidenti i tratti della band: una notevole potenza, sonorità che si confrontano con lo stoner e lo sludge, un cantato piuttosto feroce ma anche qualche tendenza simile al sinfonico, soprattutto nella parte centrale del pezzo.

Ritmi leggermente più lenti quelli di Kraanston, la canzone che condivide il nome con la band, durante la quale emerge anche qualche attinenza con il mondo del metal più “antico”, senza che questo significhi abbassare la guardia in alcun momento.

Si chiama invece Tunguska, come la celebre località siberiana protagonista di un’esplosione mai spiegata avvenuta nel 1908, il terzo brano, che conserva livelli di aggressività notevoli, a fronte di ricami di chitarra piuttosto articolati. L’ep si chiude con la breve The Danger, che ha un riff d’apertura che può far pensare ai primi Metallica, presto arricchito da altri ricami elettrici.

Quattro brani ricchi di potenza per i Kraanston, che interpretano con libertà gli stilemi dei propri generi di riferimento e che colpiscono nel segno, al netto di qualche sbavatura, fin dal primo colpo.

Se ti piacciono i Kraanston assaggia anche: Fakir Thongs

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