La recensione: “Failing”, Miriam in Siberia #TraKs

copertinaE’ uscito da qualche settimana Failing, il terzo disco dei Miriam in Siberia: la band campana approfondisce i propri rapporti con lo psych rock e si lancia in cavalcate elettriche molto estese.

Si apre con la title track, Failing, elettrica e veemente, con un andamento fluido e con molta potenza distribuita a piene mani. Una struttura molto robusta sorregge anche Raise Your Hands, che si divide tra una base sonora piuttosto “sporca” e un sovrastrato più sognante che è guidato dalle armonie vocali.

Apre su sentieri psichedelici Down from a mountain, che della psichedelia storica ha anche le proporzioni, visto che supera i 7 minuti. E conferma che la band non ha nessuna paura di osare, di utilizzare atmosfere enfatiche quando sono necessarie, di pensare in grande.

La tensione scende in parte con We Wanna Know, anche se le chitarre cavalcano sempre con grande libertà e aggressività. La chiusura (con hammond) è affidata a Don’t Anyone, che di nuovo far salire l’impatto emotivo con un che di teatrale, ma anche con scorribande di chitarra che possono far pensare a certi periodi di Neil Young.

Si percepisce molta libertà, di pensiero e di esecuzione, nelle cinque tracce realizzate dalla band: il disco suona omogeneo, tanto che venga il dubbio che si tratti di una traccia con cinque movimenti differenti.

Parte dura e parte morbida del suono della band si adattano bene e si mantengono in un rapporto di equilibrio continuo, coesistendo in ogni traccia e trovando punti di convergenza. L’ascolto del disco è un’esperienza coinvolgente e spesso totalizzante.

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