Arriva il terzo disco per i Melampus: si chiama Hexagon Garden (Riff Records/Sangue Disken/Old Bicycle) il successore di #7. Si tratta di un disco dalle sensazioni oscure, dai suoni profondi ottenuti spesso campionando suoni “concrete” e poi filtrandoli in studio.
May your movement ci introduce al disco su note di una certa solennità: le tinte sono molto oscure, e così sarà anche per il resto del disco.
Si prosegue con Poor devil, più appuntita e tra le più abrasive del disco, almeno quanto la seguente Second Soul, che lascia il segna anche grazie a un drumming rumoroso.
Worthy si ferma a metà del guado dove si incontrano la filastrocca e il rituale magico, con qualcosa del talking blues. Simple man non abbandona le atmosfere nebbiose e suggestive: il disco è entrato in un cimitero indiano e in sostanza non uscirà fino alla fine.
Anche Night Laugh ha qualcosa di magico e spirituale, tra il fuzz della chitarra e la ripetitività delle percussioni. E Question #3 insiste sul discorso dell’iterazione, costruendo piccoli circoli in cui danzare.
Sun è probabilmente la canzone meno solare in assoluto ad avere questo titolo: è un sole nero quello che si aggira nei sottoboschi della canzone, profondamente avviluppato dalle tenebre del suono della band.
Si chiude con Pale Blue Gemstone, escursione psichedelica in cieli leggermente differenti da quelli solcati lungo tutto l’arco del disco.
Ciò che interessava produrre ai Melampus, più che un disco, era un suono: un soundscape in cui è possibile ferirsi ma anche scoprire gemme, a patto di dimenticarsi del tutto dei propri punti di partenza.
