Una vaga somiglianza vocale con la prima Fiorella Mannoia, ma un atteggiamento parecchio più tagliente, qualche idea in comune con PJ Harvey: Sabrina Napoleone ha pubblicato La parte migliore, e ha gettato senza dubbio un sasso notevole nello stagno.
Il disco è di impronta cantautoriale, ma di stampo contemporaneo: la cura delle sonorità e la struttura delle canzoni non può andare persa, nemmeno di fronte a testi che richiamano per forza l’attenzione dell’ascoltatore.
Fire apre il dibattito: titolo che può evocare Hendrix come altri, testo incollato alla vita e al qui e ora. Passano in mente paragoni musicali italiani nobili (CSI, Marlene Kuntz) ma già si intuisce come con i paragoni qui non si vada lontano: la voce di Sabrina si guadagna il proprio spazio in totale autonomia.
L’indovino islandese non rasserena l’animo più di tanto, anzi gioca con una struttura e sonorità di rock deciso. Il passo quasi marziale di Prima dell’alba serve a scandire sentenze dolorose, tra chitarre e stridore di denti.
La parte migliore, il pezzo che dà il titolo al disco, coniuga un testo ricco di memorie crude con sonorità che hanno punte tra lo psichedelico e l’onirico. La drum machine e il basso di Dorothy ci porta quasi in ambito dark wave, per raccontare di storie sempre al limite tra il privato e il pubblico.
Sabrina, del resto, non si tira indietro nemmeno sulle questioni politiche, tantomeno se internazionali: con E’ primavera, che cita con sapienza l’antichissima canzone di Rabagliati, parla con attenzione critica alle primavere arabe sbocciate e, pare, tramontate all’ombra dei minareti del Maghreb.
Il meccanismo non è molto differente con Insomnia, che parte con la classica “ninna nanna delle coscine di pollo” per poi menare sberle a destra e a manca a politica, chiesa, mafia e svariati altri distinti signori.
Medusa si serve di note che risuonano in profondità per costruire un racconto di vita e di rapporto ambiguo con la bellezza. Pugno di mosche torna ad alzare il fuoco di sbarramento sulla realtà e sulla disillusione provocata dalla medesima, in un altro dei testi più duri e notevoli di tutto l’album.
Si chiude sulle note non proprio liete di Epoché: tra metafore filosofiche e letterarie, la ballata acustica dichiara come il mondo sia all’ “epoché”, appunto, cioè alla sospensione del giudizio. Attività che, come ampiamente descritto nell’album, la Napoleone non riesce proprio a esercitare.
Un disco notevole, tanto vivo e brillante quanto crudo in alcuni episodi. La Napoleone mira e centra il bersaglio, con una serie di canzoni dure come sassate.
La sincerità, nelle parole e nei propositi, è forse la parte migliore del disco, ma anche tracciando la somma a fine foglio c’è una serie di brani che portano in evidenza un talento serio e convinto, di alto livello.