Avvertenza ai naviganti: questo non è un disco nuovo. O meglio, ha svariati tratti di novità, ma è uscito nel 2002, suscitando un certo interesse e buone recensioni. Ma Pneuma è rimasto il primo e per ora ultimo lavoro dei Cardosanto, un trio savonese di math rock/jazz/post rock e altro, che dodici anni fa aprì e chiuse la propria carriera.

Fino a una reunion che si concretizza ora e che si preannuncia interessante. E che ha spinto verso la ristampa di quel disco del 2002, magmatico anticipatore di istanze e tendenze che erano all’orizzonte all’epoca e che sono esplose poi.

Stiamo parlando di un lavoro interamente strumentale e ricco di influssi che viaggiano dal jazz, al progressive, al post rock, al noise e chi più ne ha più ne metta. Tanto le etichette importano il giusto: l’importante è l’energia che il disco trasmette.

L’introduzione è oscura e misteriosa ed è l’inizio della suite Pneuma, che costella tutto il disco. Poi si passa a Worlds, che sostanzialmente prosegue il discorso, con dissonanze e oscurità, ma poi il flusso si plasma, alternando punteggiature di chitarra e aggressioni più massicce. Vengono in mente i King Crimson, e non sarà l’ultima occorrenza dello stesso fenomento.

Si prosegue con Trema Blasfema, che va in crescendo prima di inabissarsi in discussioni irose tra gli strumenti.  Pneuma II naviga sotto il pelo dell’acqua, tra dissonanze ed effetti, mentre Cardotrance non ha molto di trance e corre veloce verso un panorama di armonie complicate e composite, con una nuova esplosione crimsoniana all’orizzonte.

Il fil rouge del disco prosegue con Pneuma III, breve intermezzo quasi rumoristico, cui fa seguito The Absurd Tale of Phineas Gage, il cui titolo fa riferimento a un famoso caso medico dell’800: Phineas Gage sopravvisse a una sbarra di ferro che gli trapassò il cranio, ma perse i propri freni inibitori. Nel pezzo si riversano torrenti di chitarre, che in questo caso ricordano in parte anche i Rush.

Dopo il nuovo intermezzo di Pneuma IV arriva il rumorismo di Machines Automatisms Gears, che si tramuta poi in un’esplosione di chitarre, che comprende anche fraseggio in stile Yes, prima di assoli più marcatamente jazz.

Camera pneumatica frena di colpo e ci immerge in panorami molto più cupi, ma anche stralunati. Si torna a picchiare duro con Sospesa sul ventre, che per sonorità ha in parte anticipato certi concetti espressi da Tool e band simili.

Chiude L’acida ritorsione del malumore, che in effetti un po’ acida e malmostosa lo è, ma anche fluida e ben costruita, con un incattivirsi di chitarra che lascia spazio anche a pause meditative, prima di lanciarsi a precipizio in accelerazioni folli.

Si potrebbe cadere in luoghi comuni dicendo “sembra un disco fatto ieri”. In realtà non è così, ognuno è figlio del proprio tempo (a proposito di luoghi comuni), ma questo non significa che una singola nota di Pneuma suoni “datata” né tantomeno “demodé”.

Oggi forse sarebbe più difficile adottare sonorità così articolate, magari si utilizzerebbe un pizzico di elettronica in più, magari si bilancerebbero gli ingredienti in modo diverso.

Ma il prodotto era e resta di grande livello, ricco di ispirazione, fulminante in alcuni passaggi e stordente in altri. La speranza è che i Cardosanto riescano a riaccendere quello stesso fuoco, magari accogliendo le lezioni che la vita ha regalato loro nel corso degli ultimi anni.

 

 

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