Sono appena iniziate le stagioni degli Evacalls, gruppo di Vercelli che fa il proprio esordio con “Seasons“. Il disco di debutto, appena uscito, vede la band (qui la nostra intervista) alle prese con otto tracce di rock abbastanza pulito ma non senza mordente.
Le tracce del disco sono otto (sette, se non si conta il minuto abbondante di “No words”, pura introduzione strumentale a “No silences”): quantitativamente non c’è abbondanza, ma ciò che si trova su disco è più che sufficiente a farsi un’idea precisa delle qualità della band.
Alcune delle tracce si mettono l’armatura elettronica, quasi noise, ma superate le prime schermaglie la parte melodica emerge sempre. Lavvio è affidato a The second winter of the year, che ha una lunga introduzione elettronica, come se ci fosse un po’ di timidezza da superare. Poi si parte di chitarra.
Anche Give me a reason non spinge particolarmente sull’acceleratore, ma qui i suoni di tastiere portano in modo abbastanza chiaro al synth pop anni Ottanta. No words, come detto, è un intermezzo strumentale piuttosto minaccioso, che funge da introduzione a “No silences“, molto elettrica e con ritmi piuttosto marcati.
“Two lines” apre con un riff di chitarra quasi da heavy metal, cui segue una corposa linea di basso, per aprirsi a metà con un ritornello più vivace. Più insistente “Away from Her(e)“, in cui a guidare è la chitarra. “Monday” alterna varie fasi, può richiamare certi pezzi dei Church, ma complessivamente non sembra la più riuscita del disco.
Si chiude con “The man who lives on the moon“, che si ricollega idealmente sia come struttura sia come chiusura rumoristica con la prima canzone, “The second winter of the year”: l’accento si pone sulle abilità strumentali della band, visto che il cantato inizia ben oltre i due minuti della traccia, che del resto è la più lunga del disco. Qui emergono influenze più psichedeliche, in un pezzo complessivamente molto ben costruito.
La band suona oggettivamente meglio quando dà l’impressione di andare a briglie più sciolte, come appunto nell’ultima traccia del disco. Forse una produzione più “interventista”, per il prossimo album, potrebbe aiutarli a mettere in maggiore evidenza le doti che indubbiamente già si intuiscono.