E’ uscito da poco The Glow, il secondo e nuovo disco dei leccesi Playontape, che arriva tre anni dopo A Place to Hide. Prodotto da Paolo Del Vitto, il disco contiene dodici tracce che affrontano svariate sfumature del post punk.
Benché la copertina sia quasi del tutto immacolata, infatti, così non si può dire dei suoni del disco: benché l’ingresso dell’elettronica lasci uno spazio relativo alla parte “sporca” della band, le atmosfere sono però spesso piuttosto oscure.
Dopo un’introduzione strumentale piuttosto articolata, Behind the Sin arriva al fulcro del proprio essere con un ritmo medio e un’atmosfera dark/new wave, rimarcata anche dallo stile del cantato.
Se con la prima traccia ci si appella al mondo oscuro Cure/Depeche Mode, la velocità di Lies si rifà a qualcosa di più aggressivo, tipo Interpol/Joy Division. Il brano è rapido e convincente, mentre con The Heat, il singolo, si rallenta e gioca con qualche eco, ma senza perdere di incisività.
La carica non va smarrita nemmeno in Dust, che svolta verso un rock elettrico pur senza rinunciare a qualche svolazzo di elettronica: ma sono chitarra e batteria a prendere il sopravvento in modo piuttosto chiaro.
The Edge of Love attraversa fasi diverse e affronta un crescendo che di nuovo può richiamare alla mente qualche idea degli Interpol, ma filtrata attraverso una personalità decisa e spiccata.
There’s no Tomorrow mostra di nuovo il lato oscuro della band (oddio, non è che ci sia un lato chiaro: c’è un lato oscuro e un lato più oscuro, e probabilmente è colpa di Darth Fener). Come altri pezzi del disco, la canzone si allunga ben oltre i tre o cinque minuti canonici, approfondendo i propri temi e lasciando spazio agli strumenti.
La title track The Glow si trova ad aumentare le dosi di elettronica e a regalare panorami più eterei, perfino più luminosi, conseguentemente al titolo.
Pandora’s Box apre nuovi collegamenti con la new wave e con il rock anni Ottanta/Novanta (la chitarra elettrica sembra perfino citare i primi U2). Ritmi alti e ottime trame sorreggono il discorso di Revelations.
La velocissima Faith dimostra come l’energia del disco sia ben lontana dall’esaurirsi. Per contrasto, God and the Fall inizia pianissimo, ma poi si accende con una progressione ritmata e intensa.
Il disco è nel complesso un ottimo esempio di come si possano usare i chiaroscuri in un contesto rock, alternando fasi di oscurità a scintillii improvvisi.
La capacità di perdere e di ritrovare la forma canzone secondo le necessità del momento ma senza farsi condizionare troppo da logiche cronometriche è un’altra virtù evidente. Sebbene si possa ancora crescere, The Glow rappresenta senza dubbio un ottimo secondo passo per la band.
