Molti anni dopo la sua apertura, gli Elettronoir hanno chiuso la trilogia Tutta colpa vostra! con l’ultimo capitolo, E che non se ne parli più (qui la nostra recensione). Abbiamo intervistato la band.
Dopo quasi dieci anni, si chiude la trilogia “Tutta colpa vostra!”: è stato difficile mantenere le motivazioni intatte per tutto questo tempo?
Sì, è stato difficile mantenerle intatte perché le motivazioni sono
cambiate ed evolute con le nostre vite personali, e quindi potevamo
rischiare anche di perderle per strada.
Abbiamo iniziato che eravamo dei ragazzi pieni di entusiasmo, e man
mano che percorrevamo la strada prefissata, siamo diventati adulti, a tratti, più consapevoli, più sperimentatori, con un unico filo
conduttore, l’incoscienza.
Alla fine ne è venuto fuori lo specchio di ciò che eravamo e di ciò che siamo. Questo è forse il vero scheletro della trilogia: tracce di
un’evoluzione artistica, segmenti che raccontano ciò che siamo stati
in questi anni e di come abbiamo assestato il nostro sguardo sulle
storie che ci circondano.
Quanto è cambiata la trilogia e la band in questo lasso di tempo?
La trilogia aveva fin da subito un canovaccio generico di partenza.
Una storia di ragazzi di vita, che si svolge dal dicembre 1977 al
luglio del 1982, sullo sfondo di una città “estrema” come Napoli.
Di volta in volta poi abbiamo cercato di “ascoltarne” le dinamiche, di
approfondire le singole voci e i respiri che la animavano, le
situazioni, le passioni, i movimenti, le ombre… e abbiamo lavorato di cesello, rifinendo i particolari, scendendo sempre più nello
specifico.
Sono nate così canzoni e musiche che hanno dato vita a luoghi e situazioni, e caratterizzato i personaggi, in modo del tutto imprevedibile. La band ha avuto molti cambiamenti.
In dieci anni le vite e le prospettive delle persone cambiano e la
passione per un progetto così articolato rischia di scemare, soprattutto se ti muovi come autoproduzione e hai difficoltà a far
arrivare le tue idee a un pubblico “vasto”.
Quindi in una situazione di costante sacrificio, e di soddisfazione
“al ribasso”, c’è chi ha mollato, c’è chi ha rincorso altri progetti e
trovato altri piaceri.
Oggi gli -ELETTRONOIR- si identificano come un’esperienza solida, un progetto con una propria identità che recita una parte, un modulo, dipendente dagli attori che vi partecipano, e sensibile alle influenze di ogni momento.
In questo abbiamo raggiunto un concetto di maturità piuttosto preciso. L’abbiamo sempre chiamata “maledetta voglia di vivere”.
Avete configurato questo disco come una sorta di viaggio mondiale in continuo movimento. C’è una voglia di fuga che parte da una storia molto italiana come quella della trilogia?
La fuga è l’unica via, l’unico modo che i personaggi della storia
conoscono per pensare di sopravvivere. La fuga fisica, la fuga “di stomaco”, passionale, la fuga che si manifesta in atti di negazione contro il mondo che ci circonda, la fuga che inizia e finisce dentro se stessi.
Abbiamo citato molti luoghi fisici, Napoli Monaco Berlino Rio De
Janeiro Kinshasa Algeri, ma anche i non luoghi dell’anima, La Zona di
Tarkovskij, la rinuncia e la dissolvenza. Crediamo che ciò sia estremamente attuale e italiano, contemporaneo.
Viviamo in un paese arretrato, da un punto di vista della sensibilità
e dell’onestà intellettuale. In seria sofferenza e difficoltà, che ha sempre preferito mentire a se stesso e tacere il dolore per vergogna o (stolta) furbizia, saccenza, piuttosto che fare i conti, difficili ma necessari, con la propria identità e storia, in maniera leale e critica.
Quindi è molto più facile di quanto si pensi, trovare persone che
scelgono ogni tipo di fuga come rifiuto col mondo esterno e propria
identità esistenziale. Fuga di chi non riesce ad integrarsi con un
sistema fortemente compromesso.
Il problema dei protagonisti, e non solo, è che la fuga fine a se
stessa è distruttiva e non porta mai lontano.
Pensate che ripeterete l’esperienza della trilogia in futuro?
Lasciamo che ogni discorso resti sempre aperto. Non avendo avuto dei punti di riferimento musicali, ed essendoci tracciati da soli la strada, credo che se ci confronteremo ancora in futuro con il tema di una trilogia, sarà con altri linguaggi, con altri spunti e dinamiche.
In questa per esempio abbiamo usato spesso segmenti di film o voci
esterne, decontestualizzando e riproducendole nei nostri eventi. Una sorta di “coro” esterno alla vicende che ne sottolineava gli
andamenti.
Abbiamo parlato e raccontato quindi anche con Pasolini, Volontè,
Tarkovskij…forse si potrebbe ripartire da qui per andare in nuove
direzioni, chissà…
Avete vinto premi e ottenuto riconoscimenti grazie ai vostri lavori di sonorizzazione paesaggistica, e avete composto colonne sonore di spot. Inoltre alcune vostre canzoni sono state inserite in colonne
sonore cinematografiche e i vostri incroci con il cinema sono
numerosissimi. Ma se voi doveste scegliere un film del quale curare
interamente la colonna sonora, che genere di film scegliereste? E con quale regista?
Sicuramente valuteremo, come abbiamo fatto finora, la forza del progetto. Siamo sempre pronti a esaminare ogni proposta, da parte di chiunque.
Poi se vuoi dei nomi, allora ci piacerebbe collaborare con la nuova
onda di registi italiani quali Costanza Quatriglio, Alina Marazzi,
Mirko Locatelli, Saverio Costanzo, Pietro Marcello, Stefano Petti e
Alberto Testone (con i quali abbiamo già lavorato per “Fatti Corsari”,
fra i vincitori del Torino Film Festival 2012), e altri autori che
hanno ridisegnato la linea che separa il documentario “filmico” dal
grande film d’autore. Narratori di frontiera, sperimentatori di
linguaggi, proprio come noi -ELETTRONOIR-.