Si chiama Stefano LinFante (con il vezzo della F maiuscola) e qualche tempo fa ha pubblicato Non mi piace niente, un esordio robusto e ruvido da cantautore, che ha ottenuto ottime recensioni. Ne parliamo con lui in questa intervista.
Mi puoi raccontare la tua storia?
Nasco musicalmente all’inizio del millennio maneggiando una chitarra classica prestatami da un amico di famiglia. L’obiettivo era quello di riuscire a mettere in fila quei 4 accordi (che in realtà sono 3, perché uno si ripete) della “Canzone del Sole” che avevo visto suonare da un tizio in un cortile – ero rimasto stregato dalla bellezza di quei movimenti delle mani.
A ripensarci adesso, quel tizio che neanche maggiorenne aveva già i capelli bianchi e i denti marci dal fumo, era un pessimo chitarrista, ma senza di lui forse non avrei mai iniziato a suonare.
Passa il tempo e Mtv pensa bene di trasmettere il video di “You Know You’re Right” che preannunciava il Best of dei Nirvana. In quel pomeriggio dopo-scuola passato davanti alla tv mi ricordai del 1994 e di quando trovai sullo stereo di mio fratello un cd con in copertina un bambino nudo che nuotava nell’acqua inseguendo un dollaro.
Kurt era appena morto e tutti avevano Nevermind a portata di mano. Accesi lo stereo e mi esplosero i timpani. Spensi subito. Ma qualcosa era cambiato. Sei anni più tardi – qualche giorno dopo aver assistito a quella rivelazione su Mtv – andai a casa di un mio compagno di classe che mi portò nella stanza della biancheria dove teneva il suo stereo e i suoi dischi.
Mise su il sopracitato Best of dei Nirvana e il mio mondo cambiò per sempre. Non mi interessava più imparare a suonare Battisti e i Beatles, volevo solo mettere su un gruppo grunge.
Dal fratello maggiore di quello stesso amico acquistai la mia prima chitarra elettrica – una Thema nera, modello Stratocaster – a un prezzo stracciato. Occupai la mansarda dei miei genitori e quando ne uscii avevo già i miei primi pezzi pronti.
Non restava che trovare un gruppo. Cosa che feci di lì a poco. I capelli iniziarono a crescermi sopra le orecchie e nel settembre 2003 suonai per la prima volta davanti a un pubblico, di vecchiette. Ho avuto una felice adolescenza musicale come militante del grunge in un paio di gruppi cremonesi.
Nel 2009, ramingo, do vita a LinFante. Suono a Palermo, suono in Toscana, per poi trasferirmi a Barcellona dove inaspettatamente trovo terreno fertile e tanti amici per continuare a fare quello che mi piace, ovvero suonare. Dopo di che torno in Italia e poi di nuovo in Spagna, questa volta a Madrid. Mi fermo un po’ per vivere.
Nel 2012 registro nella mia pianura il materiale migliore che avevo tra le mani e lo pubblico soltanto due anni dopo tenendo fede alla promessa che mi ero fatto di aspettare che qualche etichetta indipendente si decidesse a darmi un mano.
Già dal titolo si intuisce che il malcontento è la base del disco, ma le canzoni poi hanno umori anche molto differenti: che tipo di periodo fotografa “Non mi piace niente”?
Il titolo mi racconta, ma racconta anche l’ironia con cui guardo la realtà. “Non mi piace niente” è un’invettiva contro gli dèi: “guardate un po’ cosa avete combinato, io mi rifiuto di starvi a sentire”, ma anche un modo per esorcizzare la frustrazione che mi coglie di fronte agli eventi. Più ragiono sul mio rifiuto più trovo modi per comprenderlo e trasformarlo in positivo.
Le canzoni di “Non mi piace niente” sono state scritte tra il 2009 e il 2012 (poi pubblicate solo nel 2014) e parlano di una gamma infinita di sentimenti.
La malinconia tende a ingurgitare tutto nel suo vortice, ma poi penso a Tenco e a quando gli chiedevano del perché le sue canzoni fossero così tristi e lui rispondeva: “perché quando sono felice esco”; e così torno nella realtà, quella di tutti, fatta di felicità e tristezza.
Lo schema delle tue canzoni è molto essenziale: voce e chitarra, mai sopra i tre minuti e mezzo. Da che tipo di scelta nasce questa impostazione?
Già tre minuti e mezzo per me sono tanti. Amo le canzoni brevi, dirette, a forte impatto emotivo, strofa-ritornello-strofa.
Suono da solo perché non sto fermo, mi muovo costantemente e trovare qualcuno che mi segua non è un impegno che in questo momento riuscirei a seguire.
Come si dice: “ho fatto di necessità virtù” e mi sono costruito addosso questo sound essenziale, crudo, istintivo. Sono affezionato a questa impostazione, mi permette di esprimere esattamente le emozioni come sono nate sul manico della chitarra, e questo per me è un privilegio.
Tra le altre, mi ha incuriosito molto “L’invidia”: come nasce?
“L’invidia” parla di quelle persone che più vedono che riesci a realizzare ciò che vuoi, più vogliono convincerti che stai sbagliando strada, che loro lo sanno per non so quale rivelazione. Più sei felice, più pensano tu non ne abbia il diritto; penso a causa di un’incurabile invidia.
Lo spunto lo presi dagli assurdi comportamenti dei parenti di una persona a me molto vicina, individui che facevano di tutto per esprimere la loro delusione gratuita nei confronti delle sue decisioni.
Il loro intento era reprimente e sono felice di aver in parte contribuito (non con le canzoni, ma nella vita) a emancipare questa persona da pretese infantili ed egoistiche.
Se sei frustrato e insoddisfatto prenditela con Dio, non con i tuoi cari che hanno una vita difficile come tutti. E se hanno il coraggio di reagire, a differenza tua, prendili ad esempio e sii orgoglioso di loro. Altrimenti: “fai un favore al mio universo, smettila di girarmi attorno”.
Il disco è uscito da qualche tempo e ha incontrato ottime recensioni. Come si diceva una volta: quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai già in mente le prossime tappe del tuo percorso?
Più che progetti ho tanti desideri. Per esempio poter fare la rockstar in santa pace. Poi vorrei registrare un ep e poi un secondo disco. Trovare musicisti con cui divertirmi e conoscere quelli che già stimo. Suonare il più possibile e sopratutto vivere per sempre.