“Lorø”, Lorø: la recensione #TraKs

Si chiamano Lorø, con quella ø che dà un tocco di esotismo scandinavo, benché arrivino da Padova (o da Padøva): un ben strutturato combo influenzato dal math rock che colpisce nel segno con l’album omonimo.

Si parte con Pollock, che di base è un pezzo con qualche influenza math, ma che tra le pieghe del discorso fa intravvedere anche qualche influenza noise e post rock. Thaila aumenta i giri del motore e si inoltra in tonalità più oscure.

Dopo una lunga cavalcata elettrica di grande impeto, A Trick named God, da metà brano in avanti, si concede una pausa meditativa che utilizza suoni vicini all’ambient e al soundscape, interrotta un po’ bruscamente.

Caratteristiche differenti per High Five, che si immerge invece in atmosfere rock-blues colorate di vintage anche grazie all’apporto dell’hammond.

Si plana negli ambienti del noise e della drone music con Ø, che coniuga iterazioni e movimenti percussivi di incerta natura. Discorso diverso con At Mortem, che sembra invece affrontare discorsi più afferenti il metal, con una corrente energetica sotterranea che percorre il pezzo.

Suoni piuttosto robusti e ritmi marcati all’interno di Clown’s Love Ritual, con movimenti fluidi nel finale. Meno fluida ma più ruggente e veloce Faster, Louder & Better (appunto), che articola le proprie potenzialità soprattutto sulle insistenze della chitarra.

Si chiude con To Whom It May Concern, installata su un drumming di grande evidenza, e sul lavorio di chitarra che lotta per emergere fino alla superficie.

Un lavoro molto potente, ruvido il giusto, che meriterebbe qualche limatura qui e là ma che mette in rilievo le potenzialità del gruppo e anche i futuri possibili sviluppi della loro discografia.