La pressione dei Bar è il nuovo album di Luca Ferraris. Il disco, autoprodotto, è una panoramica grottesca ed esasperata di personaggi reali, dove tematiche (dis)umane e dissacranti dominano con un gioco di scrittura prettamente narrativo.
Musica balcanica, klezmer, jazz, Sud America e tradizione cantautorale: Luca Ferraris ha acquisito anche sapori latini nei tre anni di performance e concerti tenuti in terra messicana. Filo rosso con i precedenti album è il forte gioco di contrasti tra momenti estremamente poetici e tematiche spesso crude e surreali.
Pianista, batterista, percussionista e polistrumentista, Luca Ferraris nasce a Pordenone nel 1980. Esordisce nel 2008 come pianista cantautore, incidendo il lunare e riflessivo Un passante. Il secondo album, Viaggi senza ritornello del 2012, è un diario di viaggio ironico, tragico e poetico.
Il 2015 è l’anno di uscita del terzo disco Sorridenti senza denti, tappa esemplare della maturazione artistica di Luca Ferraris, sia come paroliere che come musicista. Poi i tre anni messicani, quindi il nuovo disco.
Luca Ferraris traccia per traccia
L’amore ai tempi del Colella apre il disco con i fiati che si scambiano le parti dialogando con il pianoforte: l’atmosfera è già quella della sarabanda, lo stile è da (auto)ritrattista, tra chiariscuri, ironia ed egocentrismo proclamato.
Ed ecco Teresa, non la prima canzone dedicata a questo nome, che di solito è sempre associato a canzoni dai toni malinconici: sulle prime si penserebbe che Ferraris non faccia eccezione, ma invece sì. Dopo l’introduzione cupa, ecco partire la marcetta surreale (“oh ma che te frega se son stato con tua nonna”. Per dire).
Le sonorità messicane si scatenano in Saverio, che lascia un certo spazio alle chitarre, ai cori, allo spagnolo, alla testa fra le nuvole.
Molto più malinconica Rosa dei veneti, che indossa un abito classico per un altro ritratto, questa volta tutto su colori scuri, ambiente da jazz club, per la storia dolorosa di una prostituta.
Si colloca più o meno a metà disco La pressione dei bar, title track, singolo nonché una danza movimentata dai suoni klezmer e dall’ambientazione padovana, ma per portare in rilievo un problema molto sentito a livello nazionale: la ricerca di un bar dove lamentarsi tutto il tempo e non fare niente.
L’erotomane, con Fredrich Micio, apre con gli archi cercando un impatto drammatico. Si passa però subito a raccontare una specie di climax che parte dallo stalking fino alle sue estreme conseguenze.
Passioni alimentari e tatuaggi emergono durante il curioso appuntamento di Albano ed Eva, appassionata e retrò.
Più movimentata Mostri, che potrebbe uscire da o entrare in una colonna sonora di un film, che ha qualcosa di Conte, qualcosa di Jannacci e molto della personalità di Ferraris.
Con Puerto Morelos si torna a influssi (moderati) latinoamericani e a tematiche malinconiche, stemperate da un pianoforte che si sa rivelare anche molto vivace.
Si rimane nel paese dell’aquila e del serpente piumato con El Rudo, in cui Ferraris è accompagnato dalla Banda filarmonica del Cecam e da Babboo, in un clima tra festa e inquietudine, che chiude il disco.
C’è ironia in quasi tutte le canzoni di Luca Ferraris, tuttavia non c’è soltanto ironia: c’è una passione vera per la canzone, c’è cura del suono e del dettaglio e c’è una notevole varietà d’ambienti, che ne fa un degnissimo erede della lunga tradizione cantautoral-jazz italiana.