Si chiama Rumors il terzo e nuovo lavoro di Paolo Spaccamonti, chitarrista torinese nonché nome di spicco della produzione indipendente italiana (qui la nostra recensione).  Abbiamo scambiato qualche battuta con lui per addentrarci meglio nel suo disco.

Come ti sei avvicinato al lavoro su questo tuo terzo disco? Più semplice o più complicato dei precedenti?

Registrare dischi è sempre una faccenda complicata, inizio bene ma poi mi perdo. Nel tragitto si accumulano dubbi e alla fine mi ritrovo con le spalle al muro… un guaio. Diciamo che questa volta ho lasciato più spazio al produttore (Gup Alcaro / Superbudda) ed è stata una grande conquista. Nei precedenti dischi difficilmente tolleravo interferenze esterne, faticavo ad accogliere suggerimenti o cambi di rotta.

Con Gup è stato diverso, non ci siamo posti limiti, alcuni pezzi li abbiamo letteralmente disintegrati per poi rimontarli. E’ stato come gettarli a mare con gli squali, ripescarne i brandelli e abbandonare il tutto al sole per poi riutilizzarli una volta essiccati. Fino a Frammenti tendevo ad arrivare in studio con brani già scritti e definiti, era tutto pronto, andava “solo” registrato. Ultimamente sono più interessato al processo inverso, partire dall’embrione e svilupparlo in studio. Probabilmente col tempo ho acquisito sicurezza, non so. Detto questo, registrare nuovi brani rimane per me un mezzo incubo.

Hai dichiarato che questo disco ha a che fare con l’assenza, la disperazione, la malattia e il dubbio. Da dove derivano questi sentimenti e queste ispirazioni? Quanto c’è di autobiografico?

Tutto. I miei dischi sono istantanee della mia vita. E’ come possedere un enorme book sonoro, ogni pezzo mi riporta a un istante preciso del mio percorso. Non riesco a discostarmi da ciò che vivo quando compongo e Rumors è nato in un periodo cupo. Non sono più un ragazzino, alla mia età è inevitabile scontrarsi con certe vicende e tanti mesi vissuti tra ospedali e sofferenza ne hanno inevitabilmente influenzato le atmosfere.

Paolo Spaccamonti, ci vuole un’altra vita

Da dove nasce il titolo del disco?

Mi piace come suona. Parto sempre da dettagli insignificanti che poi prendono il sopravvento e si impongono. Ogni giorno siamo letteralmente inondati da rumori di fondo, bisbiglii, urla nelle scale, socializzazione… Quel vociare di cui faremmo volentieri a meno ma a cui siamo costretti ad arrenderci. Il chiacchericcio quotidiano, le frasi di circostanza, i parenti, le barzellette, il lavoro, cose così. A volte credo di non reggere tutto questo brusio e allora mi rifugio nella musica, ma non sempre è sufficiente. “Non servono tranquillanti o terapie , ci vuole un’altra vita”

Mi sembra che la chitarra non sia sempre la protagonista assoluta, anzi che lo sforzo sia stato quello di costruire un panorama complessivo. Idea pregressa o si è sviluppata in corso d’opera?

Da sempre costruisco i brani come fossero scritti da una band e non da un solo chitarrista, mi viene naturale e mi piace. Se sento che un brano necessita di contrabbasso per camminare lo aggiungo senza pensarci due volte. Il fatto che io sia un chitarrista è un dettaglio. Trovo affascinanti alcuni dischi di sola chitarra (Silent Movies di Marc Ribot per esempio) e spero prima o poi di farne uno, ma non credo sia ancora arrivato il momento.

Come hai scelto gli ospiti del disco e qual è il tuo rapporto con loro?

Alcuni di loro avevo intenzione di coinvolgerli sin dall’inizio delle riprese. L’idea del brano con Bruno Dorella mi ronzava nella testa da tempo, poi ho visto il video degli Ovo (Tokoloshi) e mi è piaciuto un casino e allora l’ho contattato. Con Julia Kent invece non era preventivato. E’ successo che ho abbandonato il disco per mesi e poi una sera ho scritto di getto questo brano ‘io ti aspetto’ . Riascoltandolo ho pensato che sarebbe stato bello inserirlo nel disco, a patto che lo suonasse lei. Aveva già partecipato al mio Buone Notizie e sapevo che non mi avrebbe deluso. Che dire? Sono tutti dei grandissimi artisti oltre che amici ed è una fortuna poter contare su di loro, non mi stancherò mai di ripeterlo.

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