Ha senso rivalutare una parola come Picciotto? Christian Paterniti pensa di sì. La sua identità artistica si è formata nell’impegno politico e sociale a Palermo, esordendo come frontman della Gente Strana Posse, collettivo di musicisti siciliani legati ai movimenti dei centri sociali.
Le storie della sua città, raccontate nel precedente lavoro StoryBorderline, dipingono una Palermo difficile ma affascinante, cattiva e nobile. Un’antologia di vite al limite raccolte da chi, lavorando in laboratori contro la dispersione scolastica, ha compreso la potenza narrativa del rap.
Il nuovo album TeRAPia, uscito alla fine dell’inverno per Mandibola Records, nasce da un’ambizione simile ma evoluta. Se nel lavoro precedente il trait d’union era il disagio generazionale, in TeRAPia si tenta di scattare un’istantanea generazionale o forse di organizzare una sessione di terapia collettiva. Molto evocativa la copertina dell’album in cui Picciotto è ritratto come paziente e psicologo. Curiosa è la scelta dell’illustrazione, in perfetto stile Grand Theft Auto, videogioco magari non esattamente in linea con gli ideali e i temi affrontati nell’album. Ma forse stiamo leggendo troppo significato in una scelta puramente estetica.
Picciotto ha dimostrato coraggio nel distaccarsi per originalità dalla maggior parte delle produzioni rap che provengono dal suo ambiente. Basta con le basi rap anni 90, basta con le basi reggae: nel nuovo lavoro si spazia dall’elettronica ad arrangiamenti cantautorali, con giri di archi degni di singoli di Sanremo .
Picciotto traccia per traccia
Si inizia con Illusione, prodotta da Gheesa, producer siciliano. Il brano, anche grazie all’atmosfera elettronica soffusa (che ricorda moltissimo Mecna) riesce bene a raccontare il disagio generazionale di trovarsi adulti senza forse avere gli strumenti per affrontare la vita.
Si cambia subito registro con Come stai, prodotto da DJ Delta, un ottimo mix tra A Tribe Called Quest e gli Articolo 31. Si riflette sull’inutilità e falsità della domanda soltanto all’apparenza innocua ‘come stai’ che spesso si pone senza essere interessati alla risposta.
La terza traccia dell’album è quella più efficace, Hashtag la vittoria, featuring con Shakalab e Roy Paci. A partire dal notevole gioco di parole, si parla di come l’era dei social abbia influenzato l’attivismo politico. Il concetto è efficacemente riassunto: “filtra la tua gioia/la vanagloria/dall’Havana ai social/Hashtag la vittoria”. Ottimo groove e unica concessione nell’album al classico sound reggae tipico di chi ha sempre frequentato ambienti militanti.
Si continua con Capitale, scelto nel 2018 come colonna sonora di Palermo capitale della cultura italiana. Si parla dell’amore per la città, da non abbandonare ma da riscoprire e valorizzare. Con “Io ti porto con me/sei la mia ombra a colori” si capisce chiaramente la dualità del rapporto di Picciotto con la città, presenza ingombrante e irrinunciabile.
L’album prosegue con il trittico dei brani più politici dell’album: Come non ho fatto mai, Oshadogan e Lividi.
Come non ho fatto mai nasce dall’esperienza dell’autore in un campo profughi in Libano per un progetto di cooperazione. Il brano, dalle atmosfere arabeggianti, è una celebrazione della varia umanità che ha incontrato nel suo viaggio.
In Oshodogan Picciotto si diverte a parafrasare la celebre canzone di Toto Cutugno, L’Italiano, per raccontare la storia di un immaginario italiano di seconda generazione, “un italiano nero”. Il titolo è un omaggio a Joseph Dayo Oshadogan, primo giocatore afro-italiano a giocare con la maglia della nazionale giovanile di calcio.
In Lividi si parla di vittime degli abusi delle forze dell’ordine. Il pezzo è arricchito dalla collaborazione con Davide Shorty e ‘O Zulu dei 99 Posse, maestro spirituale di Picciotto insieme a Caparezza (di cui si sente moltissimo l’influenza). Se ci si aspetta di trovare la classica canzone di denuncia si è sorpresi da un ottimo sound che non fa perdere efficacia al messaggio ma lo rende sicuramente più orecchiabile.
Si prosegue con un pezzo più classicamente cantautorale: Ancora vive ricorda qualcosa di un’altra artista siciliana, Carmen Consoli, anche grazie alla partecipazione di Simona Boo, che dona profondità e dolcezza al brano. Anche qui si predilige l’introspezione, una lettera d’amore e forse la traccia più personale dell’album.
Ritorna l’elettronica con D’amore e d’accordi, quasi una base trap per una canzone dedicata alla musica come necessità, come spazio per esprimersi anche senza troppe pretese.
Da grande – Rap neomelodico è allo stesso tempo un colpo di genio e un’ingenuità. Se da un lato potrebbe essere un omaggio a Caparezza (“Io diventerò qualcuno” soprattutto), dall’altro l’ottimo/pessimo ritornello neomelodico cantato da Enzo Savastano dona al pezzo una tale atmosfera surreale da trasformarsi quasi in un brano degli Elio e le Storie Tese.
Si cambia ancora genere con Sogni e Incubo. Sogni è un pezzo pop elettronico intimista che riprende i temi e le atmosfere di Illusione, Incubo è invece un classico pezzo rap hardcore, il più arrabbiato per testi e sound in un album generalmente positivo.
Colloquio è invece un brano rock, l’unico genere fin qui non coinvolto, in cui si cita addirittura Calcutta, dimostrando ancora una volta le influenze onnivore dell’album.
Si conclude il disco con Terapia popolare. “Mi trovi tra la neomelodica e l’hardcore/farò girare il cazzo ai puristi dell’hip-hop” riassume in due barre il pensiero di TeRAPia. Il punto di forza dell’album è invece proprio l’esser voluto uscire dalla gabbia di un certo tipo di musica, condannato ab eterno a certe basi e certe pose.
Qua e là ci sono certe ingenuità nel testo e nella scelta degli arrangiamenti, ma complessivamente rimane un buon album, che avrà sicuramente più successo dei lavori precedenti. Del resto se gli stessi puristi dell’hip-hop hanno dovuto riconoscere che il mondo è andato avanti, Picciotto propone la stessa cosa alla musica militante: avete mai provato l’elettronica?
Genere: hip hop
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Arianna Bellini