Ahia è il nuovo ep dei Pinguini Tattici Nucleari, ma è anche il primo libro firmato da Riccardo Zanotti e le storie di disco e libro si intrecciano e condividono un terreno comune e molto pop. Questa è una delle innumerevoli indicazioni che emergono da una scoppiettante conferenza stampa tenuta oggi su Zoom e “moderata” da Valerio Lundini, che con la sua ironia surreale domina la prima parte della presentazione.
Nella seconda c’è spazio per le domande dei giornalisti (ove con giornalisti si intende quasi esclusivamente quelli dei quotidiani, secondo un ormai totalmente obsoleto schema di pensiero che vale soltanto in casa delle major: ragazzi, non è grazie ai quotidiani che i Pinguini sono diventati grandi, fatevelo dire). E si apprende come i PTN non abbiano paura di diventare, o di essere ormai diventati, mainstream. Anzi di essere diventati Pop Art, nel senso di arte popolare. Si dimostrano in grado di citare gli Area o i Dream Theater ma di “pagare” il dovuto rispetto all’anniversario proprio di Mainstream di Calcutta, uscito cinque anni fa. O di confrontarsi con la trap e con Tha Supreme, confermando di essere onnivori a livello di ascolti.
Si parla anche di dolore, spesso mascherato e nascosto all’interno di tracce come la già nota Scooby Doo (ma anche la nuova Giulia non scherza da questo punto di vista). Dolore che ha contraddistinto quest’anno, soprattutto visto dalla provincia di Bergamo, dolore più moderato anche per aver raggiunto tutti i crismi per la “consacrazione” (Riccardo usa proprio questo termine) con un terzo posto a Sanremo, palazzetti tutti pieni per un tour mai fatto e vedere tutto messo in ghiacciaia in attesa di tempi migliori.
Comunque c’è spazio per progetti che anche in questo momento possono trovare spazio: per esempio un’ospitata a X Factor nella puntata di domani sera, e instore virtuali con il pubblico. Non sembra alle viste invece un bis al Festival: non vogliono essere “inquilini” dell’Ariston e si vogliono presentare con l’abito giusto (leggi: la canzone giusta per il contesto). “E’ come quando ti presenti la prima volta a pranzo con i genitori della tua ragazza – dice Riccardo – Non è che ti presenti ruttando e appoggiando i piedi sul tavolo”. “Per quello aspetti la quinta-sesta volta” conclude la metafora, in modo magistrale, Elio Biffi.
Si parla anche del libro di Riccardo, ovviamente, che rivela di aver preso Stefano Benni come modello, per quella complessità mascherata da semplicità che del resto è una caratteristica anche di molte se non tutte le canzoni dei PTN. Tra gli elementi comuni tra libro e disco c’è un macrotema come la famiglia e i contatti, così importanti in un anno in cui sono difficili.
I Pinguini raccontano come amino ascoltare lingue diverse dalla loro, soprattutto musicalmente parlando, e come siano cambiati nel corso del tempo benché da quasi subito ci sia stata gente che ha rinfacciato loro di “non essere più quelli di una volta” (e del resto lo avevano già detto: “Belli i primi, poi venduto”). Sembrano felici di essere cambiati, perché cambiare è parte del loro mestiere. Anche se, qui e là, è un mestiere che ti fa dire Ahia.
Pinguini Tattici Nucleari traccia per traccia
L’apertura dell’ep è riservata alle oscurità mascherate di Scooby Doo, già ben nota perché presentata come singolo, con le sue armonie contrastate e un testo che ha qualche tinta quasi noir.
Scrivile scemo invece ha ritmi ballerini, si porta dietro un carico di vintage e di nostalgie (si parte dal Baggio del ’94, per dire, per arrivare al Bon “Aiver”, pronunciato apposta sbagliato), per parlare soprattutto di timidezze. Un altro potenziale anthem e singolo.
Sudamerica leggera nei ritmi di Bohemien, che non sarebbe troppo fuori posto se la cantasse Carl Brave, nonostante sia fitta di riferimenti milanesi. Ne viene fuori un racconto che sa di Natale e di inizio di una relazione. Sempre ammirevole il modo di riempire di riferimenti pop i testi senza appesantire.
Tristezze e pianoforte riempiono invece Pastello bianco, con gli archi che si levano su una ballatona da cuore spezzato. “Tu mi hai insegnato/la differenza/tra le ciliegie/e le amarene/e io non la dimenticherò più”: gli elementi semplici, quasi infantili, vanno a colorare un album che alla fine si scopre più articolato di quanto sembrava, e mai banale.
Si canta a pieni polmoni con il ritornello di La Storia Infinita e con il tedesco che suonava Wonderwall a un falò: quella che “forse era solo la felicità” è raccontata a mezzo tempo, con pause a effetto, coretti e tutto l’armamentario pop che ha reso i PTN idoli generazionali.
Una vicenda amarissima, quella raccontata con Giulia. Eppure le premesse erano quelle della storia d’amore perfetta, se non ci fosse stato quel professore. Un tradimento raccontato con tristezza e allegria insieme, agitate, non mescolate.
Si torna ai dolori, quelli di Ahia, title track e title boh (book track? Mah) cioè omonima del libro di Zanotti. Un’altra ballad con il pianoforte, ma anche con un momento animato ma alla Coldplay, un’altra donna di cui scrivere e raccontare quanto era bella quando cadeva e diceva “Ahia”.
Sembra facile essere Pinguini. Prendi una manciata di riferimenti alla cultura popolare, una spruzzata di vintage, li infili in un disco pop, fai festa qui e là, ci metti qualche lacrima, suoni tutto e riempi i palazzetti, arrivi terzo a Sanremo, parti da Bergamo e conquisti, numeri alla mano, mezza Italia.
Sembra facile, ma del resto sembrava facile anche fare il ritratto di Marilyn alla Andy Warhol. Piano con i paragoni: non che i Pinguini Tattici Nucleari abbiano per la musica italiana l’impatto che ha avuto Warhol per l’arte, sarebbero loro i primi a riderne forte.
Ma non solo non è facile: come dimostrano innumerevoli tentativi di imitazione, scrivere bene una canzone pop non è cosa da tutti e i PTN ormai le sanno scrivere benissimo. Hanno trovato la loro dimensione, un giusto grado di consapevolezza, una fluidità narrativa invidiabile e non c’è niente da fare, spaccano.
Il rischio principale ora è di piacersi un po’ troppo e di guardarsi allo specchio, ma sembrano sufficientemente autoironici da continuare a raccontare storie di sconfitti (tifare Inter da una vita te ne insegna parecchie, di cose) cercando però anche altre sfide nuove, senza accontentarsi del solito spartito.