White Out è il primo disco dei Barachetti/Ruggeri: Luca Barachetti (ex Bancale) ed Enrico Ruggeri (ex Hogwash, oggi musicista sperimentale) hanno lavorato per mesi su un disco fortemente sperimentale e concettuale, proponendo ogni tanto video che testimoniavano la loro attività.
White Out è un concept album sul male di testa: ma l’emicrania non è vista soltanto come fastidioso fenomeno fisico, ma diventa la metafora del declino etico, culturale e soprattutto esistenziale dell’Occidente. Lo scivolamento verso l’autodistruzione non acquista toni apocalittici (non sempre almeno) nel disco, ma l’album persegue un percorso che scivola verso l’abisso, sonoro e intellettuale.
Barachetti/Ruggeri traccia per traccia
Si parte da Dolore bianco, con evidente riferimento al “rumore bianco” (e forse anche a Don DeLillo), che accende il disco su piani di realtà piuttosto astratti: il lavoro sonoro cerca di essere delicato e non troppo invadente, anche se il concept del mal di testa squarcia ogni tanto lo scenario. La voce si insinua nelle trame del brano regalando ora supporto ora tagli netti.
Il “mal di testa cosmopolico” è al centro di Corpo Occidente, in cui alla voce si accompagnano percussioni a ritmi quasi impazziti. Pulsa si aggira sui bassifondi della mente, con le allitterazioni e i suoni ripetuti che spingono il brano verso oscurità sempre più inquietanti. “Arriva l’alba”, ma non c’è luce in fondo al tunnel.
Uomo scritturato, in teoria, sarebbe un tentativo di risalita, uno dei brani “analgesici” ma suona ancora inquietante, acido, inserito in una realtà problematica, permeata da suoni industrial, con cori in falsetto stranianti nel finale. Si passa poi a Macula, forse il pezzo più agghiaccante del disco, assistita in perpetuo da una sorta di basso continuo, sul quale si stendono frasi apparentemente sconnesse e una crescita della vibrazione. Il pezzo arriva a una deflagrazione controllata nel finale.
Si viaggia verso il religioso, ma più per questioni di immagine e di immaginario, con San Sebastiano, trafitto da mille frecce, in un pezzo che comunque ha un che di ecclesiastico. Si passa poi a White Out (ninna nanna acufene), già presentata come singolo, in cui la vibrazione torna e il discorso diventa particolarmente appuntito, raschiante, acuminato.
Basso continuo (neanche troppo basso) in Mare Morto, episodio relativamente veloce e uno degli apici del dolore raccontato nel disco. Si arriva a Cretto del Vetro, che fa uso di concetti industrial e noise per formare un’atmosfera ostile, in grado di scavare a fondo nelle idiosincrasie dell’ascoltatore. Minore ostilità, anzi un certo clima di accoglienza, sorge con Panda psichico, con voce virata ma anche con sonorità ora gentili, ora leggermente folli, soprattutto nel finale.
Uomo occipitale prosegue su base minimalista, con un battito o poco più, a fare da contraltare alla voce, che si sfalda in fasi temporali differenti nell’ultima parte del brano. Fiume verticale chiude il lavoro, partendo dall’organo e finendo con campane (o simili), in una versione differente e più drammatica del brano già utilizzato come singolo qualche mese fa.
Benché mai iper-elogiativi, tendiamo ad avere maggior benevolenza con gli esordi, per quanto i due musicisti in questione, Barachetti e/o Ruggeri, non siano affatto esordienti come singoli. Ma testare la funzionalità delle combinazioni è oneroso quanto esordire. Ma benevolenza o no, la combinazione delle due sensibilità funziona, sia nei momenti più tranquilli sia quando c’è da grattare il fondo, quando le asperità devono venire a galla.
E il risultato è “poetico”, ove per poesia si intenda il risultato efficace di un processo di ispirazione-creazione-realizzazione messo in atto con la giusta pazienza e con la dovuta attenzione al dettaglio.