E’ uscito per la label tedesca Agogo Records con distribuzione !K7 Albore, il nuovo album di Manuel Volpe & Rhabdomantic Orchestra. Il disco arriva a tre anni di distanza dall’apprezzato esordio Gloom Lies… e conferma l’eclettismo e la capacità compositiva dell’artista marchigiano. Nel disco si trovano ritmiche africane e idee jazz, composizioni autorali e suggestioni di vario tipo.
“La vera sfida per me era quella di conciliare questi elementi con un approccio per così dire cantautorale, ma senza subordinare la musica al testo. Volevo raccontare qualcosa utilizzando le potenzialità espressive e evocative del linguaggio musicale evitando l’eccesso di parole. Per questo motivo ho deciso di lasciare spazio alla pluralità di voci in strutture aperte, dove improvvisazione e scrittura si intrecciano impercettibilmente”. (Manuel Volpe)
Manuel Volpe & Rhabdomantic Orchestra traccia per traccia
Il disco si apre morbido sulle architetture di Albore, la title track, sofficemente accompagnata da fiati e da ritmiche esotiche. L’ascendenza africana della canzone e di parte dell’album diventa più esplicita nella parte finale del brano, integrandosi perfettamente con il suono jazz fin qui proposto. Si scalano montagne in Atlante, per incontrare umori molto più inquieti e un cantato che sussurra in modo non del tutto tranquillo.
Il mood si mantiene molto contenuto e la voce continua a sussurrare anche in Basrah, arricchita da fiati che regalano colori e suggestioni (e ricordi di Leonard Cohen). Nostril si sviluppa in modo piuttosto fluido, con il pianoforte che rimane nelle retrovie, lasciando il proscenio agli altri strumenti.
C’è qualche movimento in più in Maatkara, che lascia sottotraccia sentimenti di provenienza orientale, per disegnare trame a volte appena suggerite, ricami di superficie che però fanno pensare a pazienti lavori di tessitura invisibili. Si passa a Betel, rapido intermezzo strumentale che si concentra su ritmi africani.
Il ritmo è animato all’interno di Rhabdomancy, che si inoltra sui percorsi dello spiritual jazz con l’ausilio attivo sia dei fiati, sia di tastiere in grado di regalare qualche scintillio vintage. Reveal ha un approccio anche in questo caso derivato dal jazz, ma ben più animato rispetto ad altri episodi precedenti, con i fiati che dialogano con le ritmiche in modo piuttosto serrato, in quello che si rivela uno strumentale “lungo”.
A seguire Whorf, che cambia atmosfera e punta su sonorità più leggere, almeno fino all’ingresso del basso. La chiusura, morbidissima, è affidata a Wheat Field.
Disco molto convincente, vellutato e maturo, Albore ricorda quei vini che rivelano il proprio sapore poco a poco: Manuel Volpe ha saputo mescolare nel modo giusto gli elementi a propria disposizione, senza strizzarli eccessivamente e senza trascurarne le virtù. Il risultato è un disco di livello molto elevato.