[soundcloud url=”https://api.soundcloud.com/playlists/161085575″ params=”color=ff5500&auto_play=false&hide_related=false&show_comments=true&show_user=true&show_reposts=false” width=”800″ height=”100″ iframe=”true” /] The PleaseAttivi da sette anni, con due tour europei alle spalle, opening act in Italia per Matt Elliott e Depedro dei Calexico, accompagnati da una serie molto positiva di recensioni The Please pubblicano il proprio terzo disco, Here, ricco di atmosfere folk che funzionano come base per l’arrivo di sonorità che vanno dalla psichedelia al blues.

The Please traccia per traccia

Si parte dal fico, nel senso del frutto e dell’albero: la prima traccia è infatti Fig Song, che riallaccia fin da subito The Please alle sensazioni di un folk che però si colora ben presto di psichedelia. Il brano ha un andamento piuttosto baldanzoso e suoni che possono far pensare ai Traffic come ai Grateful Dead, almeno a livello di ispirazione.

E’ invece il pianoforte la pietra angolare su cui si costruisce Share The Fear, aiutata anche dai cori (e del resto se non è corale una canzone che si chiama “condividi la paura” non si capisce cosa potrebbe esserlo) e ancora da caratteristiche piuttosto vintage e da sfumature di tramonti estivi.

Back and Forth (on Blues) conserva un feeling piuttosto caldo, un drumming molto ragionato, e comprimari come la chitarra o la tromba che rendono il panorama più ricco. Seagull corre via piuttosto veloce e fluida, con una struttura semplice e poco impegnativa. Due minuti e mezzo per I.D., voce (anzi, voci) e dosi omeopatiche di chitarra acustica, per un altro brano piuttosto folk-injected.

Una chitarra piuttosto insistente (e un po’ Tangerine Dream) quella che apre Here, la canzone che dà il titolo all’album, in cui per la prima praccia appare qualche idea di emozioni tendenti al negativo. Ma è soltanto un istante: benché The Please non siano proprio sempre tutti sorrisi e moine, si indovina sotto la superficie delle loro canzoni una serenità di fondo molto rassicurante.

Si guarda a est con Cappadocia, che prevede un cambio di ritmo a metà brano. Counterfort rallenta vistosamente, sterza verso un acustico con effetti, abbraccia l’ascoltatore e lo porta verso altre situazioni a colori psichedelici. Passo lento e cadenzato per l’ingresso di Keep The Light, ma presto la situazione cambia e il pezzo accelera in modo quasi brusco, con un drumming insolitamente evidente, come se ci si trovasse di fronte a dei Pogues sobri (evidente contraddizione in termini). Il pezzo poi rallenta ancora, e si diverte a cambiare più volte ritmo.

Arriva poi la beatlesiana Even and Odd, spinta dal pianoforte, scelta come singolo soprattutto per le punte di intensità che riesce a esprimere. Si chiude con Carnia, che così come Cappadocia guarda a est, ma a un est un po’ più vicino: il congedo dall’album è ragionato, discorsivo, tenuto insieme da tessuti forti.

Magari non è così, ma la sensazione che lascia il disco dei The Please è: “pensate pure quello che volete della nostra musica, tanto noi la suoniamo lo stesso“. Sembra che la band sia arrivata (già) a un alto grado di maturità e consapevolezza. Non è musica nuova, non è sperimentale, è antica da qualunque punto di vista la si guardi. Ma è ben suonata e molto ispirata. Non è abbastanza? Pazienza.

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