Abbiamo parlato del loro curioso disco Kecak di recente (qui la recensione): i Kree-mah-stre hanno dato vita a un’opera plastica che fa del bizzarro e dell’estremo i propri punti di riferimento. Ecco la nostra intervista con la band.
Mi potete raccontare la vostra storia e che cosa significa il nome della band?
La prima formazione (allora un trio, niente percussioni) vide la luce nel marzo 2011, con poche idee ma in compenso molto confuse.
Il primo concerto rimase sicuramente impresso nella mente del barista del locale… solo nella sua.
Subito dopo l’esordio, il nostro pavido didgeridooista è sparito dalla circolazione. Sì, abbiamo pensato bene di fondare un gruppo tipo tre mesi prima che uno dei componenti se ne andasse per un anno in Islanda. La lungimiranza è sempre stato il nostro forte.
Dopo il lungo periodo di stop, però, siamo ripartiti inspiegabilmente bene: l’arrivo del percussionista – nonchè di un cazzone cronico – ci ha dato da subito grosse soddisfazioni. Oltre alla possibilità di suonare a casa sua, senza far incazzare il cane del tastierista.
Dopo poco però, proprio quest’ultimo ha abbandonato il progetto perché c’aveva nsacco de cazzi.
Essendo lui l’unico veramente in grado di fare qualcosa di più impegnativo della Canzone del Sole, ci siamo ritrovati praticamente a piedi: solo l’arrivo di un tastierista altrettanto bravo ci avrebbe dato stimoli necessari a continuare.
A volte abbiamo anche culo: abbiamo all’attivo un altro tipo un po’ sui Genesis.
E questa era la short version della biografia dei KREE-MAH-STRE. Per la versione lunga rimandiamo alla pagina Facebook
Ah già, il nome della band. Ci abbiamo messo un po’, ma alla fine abbiamo trovato un nome abbastanza esplicativo. Avete presente il cremastere?
Ora che ho guardato su Wikipedia, sì… Mi sembra che le influenze che ribollono sotto la vostra musica siano moltissime. Sono curioso di sapere quali sono i vostri ascolti abituali e qual è la vostra estrazione.
Ascoltiamo tutti quanti cose diverse, tanto che se parliamo di musica finisce sempre a botte.
Volendo semplificare all’inverosimile e tralasciando tutti i discorsi ormai vuoti sul voler etichettare a ogni costo, anche noi una volta eravamo ragazzi normali.
Tutti abbiamo avuto i nostri periodi di rock classico, grunge, metal, psichedelico, stoner, prog/spaghetti/kraut, ambient, elettronica. In generale abbiamo una netta preferenza per musica fatta da gente che NO MIA FIGLIA CON QUELLO? SIA MAI.
Forse è proprio la varietà di gusti che rende il gelato dei KREE-MAH-STRE così cremoso.
Spendereste due parole a spiegarmi la nascita di tutti e cinque i brani dell’ep pezzo per pezzo?
Non è semplice descrivere i nostri pezzi anche perché non c’è molta razionalità. Ognuno è nato dall’improvvisazione, ed è stato raffinato durante la fase di registrazione in studio durata circa 9 mesi a più riprese… tipo una gestazione sonora. Avevamo voglia di razionalizzare quello che in sala prove è nato dall’ improvvisazione.
Non ci siamo riusciti.
I grandi assenti dell’album sono i testi: quando un gruppo improvvisa, spesso il cantante canta in inglese maccheronico che poi andrà sostituire con le parole. Noi abbiamo lasciato il blateramento originario e per darci un tono diciamo che usiamo soltanto fonemi.
Si possono trovare i “testi” in IPA sulla copertina dell’album.
Durante il concepimento di Ouverture avevamo in mente i coretti dei Beach Boys e le armonizzazioni per voce classiche. Infatti li abbiamo oculatamente evitati entrambi.
Sottolineiamo che la parte finale del brano è stata composta senza l’utilizzo di sostanze psicotrope e per convincervi abbiamo il videoclip che lo dimostra: https://www.youtube.com/watch?v=6MgP5i_VdfA.
Charivari nella tradizione medioevale francese è una sorta di serenata stonata cantata e suonata dai contadini con strumenti improvvisati sotto alla finestra del personaggio più impopolare del paese, quindi non poteva esserci titolo migliore per questo brano, che è un insulto a una personaccia.
È un lento che deflagra nella follia, dal percepire le voci nella testa alla dissociazione di Gollum, fino ad arrivare al delirio: la scelta è tra uccidere tutti, acciuffare tutti i Pokémon e amare il proprio cane. Il finale è tipo una poesia francese.
Artis Jokke è la nostra ballata, la nostra intenzione è di portarla a tutti i balli di fine anno scolastico e farla ballare a coppiette di sedicenni ubriachi mentre si vomitano addosso, specialmente durante la seconda parte del brano.
King Kong è la hit e come ogni hit non passerà mai di moda. È un invito a mostrare il proprio “io”. Ognuno di noi dentro dentro, sotto sotto, è King Kong, ma spesso ci scordiamo di esserlo, oppure scegliamo di non mostrarlo. È una danza tribale estatica e, perché no, onanistica, un omaggio alla follia e alla forza bruta del lasciarsi andare. È il grido “sticazzi” trasposto in musica.
Kecak è la prova che i manicomi sono stati definitivamente chiusi. Nell’intento di testare una coppia di capsule microfoniche binaurali abbiamo fatto sbronzare 7 amiconi nostri e gli abbiamo chiesto di fare un verso di animale camminando in tondo. Se te la ascolti con un paio di cuffie buone e ti concentri potrai individuare tutti e 7 gli animali sbronzi.
Mi sembra che la vostra musica abbia anche una forte componente teatrale. Mi potete descrivere qualcosa di ciò che succede durante i vostri live, o comunque come vi piacerebbe allestirli?
Ai live ci vestiamo da cretini.
La nostra ispirazione sono i Village People e le boy band, ognuno ha il suo personaggio e il suo vestito, e le nostre fans possono scegliere quello con cui si identificano meglio e con il quale puntano alla copula. Il nostro batterista ad esempio corrisponde all’incirca a Brian nei Backstreet Boys.
Qualche tempo prima che uscisse Kecak abbiamo diffuso un teaser per far sapere che esistiamo. In quel teaser (https://www.youtube.com/watch?v=WulbnL6D7M8) abbiamo deciso di metterci addosso degli stracci solo perché non sono uscite idee migliori, poi abbiamo scoperto che erano comodi per arieggiare il cremastere e non abbiamo voluto rinunciarci ai live.
Vestirci ai concerti crea sicuramente un’atmosfera particolare. Per far sì che la performance venga apprezzata è importante far entrare il pubblico nel mood giusto e il brano Kecak (che è la nostra ecstasy of gold) prima di salire sul palco è perfetto per lo scopo.
Vestirsi da cretini sottolinea il nostro atteggiamento ironico nei confronti del nostro stesso lavoro, confonde i distratti che ci scambiano per gente che fa sul serio, e quelli che ci prendono troppo per scherzo e che in realtà non colgono il valore (comunque molto nascosto) della nostra musica.
Outfit a parte, in realtà siamo dei timidoni. Ce ne stiamo lì buoni buoni come suonatori classici di theremin. Ci mettiamo pure le pattine per non sporcare e offriamo tè al gelsomino per tutti.
“Non c’è niente di più serio dello scherzo”, e noi abbiamo fatto di questa filosofia la nostra via verità e vita e l’abbiamo portata all’estremo, al punto di rendere inscindibili e indistinguibili i due opposti.
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