E’ uscito da qualche tempo Un fedele ritratto, il quinto disco da solista di Giorgio Barbarotta, cantautore trevigiano ex Quarto Profilo.

Barbarotta mette insieme dodici tracce facendosi aiutare da Nicola “Accio” Ghedin alla batteria (Estra, Giulio Casale), Stefano Andreatta al basso (Manodopera, Wharthey), Giulio Moro alla chitarra (El Deyma): una squadra decisiva per un disco di rock dal sapore indie.

Il disco si apre sulle note insistenti di Sbotta, violenta e filtrata invettiva contro il conformismo dei tempi. La seconda traccia è Camerino al neon, già lanciata come singolo. Il ritmo è meno aggressivo pur senza perdere velocità. Dal pubblico si passa al privato, come spesso nell’arco del disco.

La struttura delle canzoni è quella classica del rock d’autore, con il giusto spazio per la sezione ritmica e con una discreta varietà di ritmi. Ne è conferma anche La roba da buttare, più pensierosa, intima e descrittiva.

Poi si accelera ancora, con Portami a casa, con un pregevole lavoro di basso e chitarra (ma era necessario arrotondare la r di “guardrail” e di “Autogrill” per mostrare la pronuncia oxfordiana?)

Più meditabonda L’eclissi di sole, che addomestica i ritmi, mentre la chitarra parte piano e cresce alla distanza. Anche Come un principio d’estate non fa sconti e parte in quarta con grande energia, risultando un’altra delle tracce meglio suonate del disco.

Con Gratia Dei si sale al piano spirituale, mentre L’ancora e la deriva è una storia di mare in cui le sonorità e il cantato riportano alla memoria qualche lavoro dei La Crus.

C’è poi Tutti giù per terra (e qualcuno prima o poi mi dovrà spiegare la fascinazione dei cantautori in genere e di quelli italiani in particolare per le filastrocche) cui fa seguito Nuovamente liberi, ballata elegiaca distesa su panorami vasti.

Stelle e strisce concentra qualche luogo comune sugli Stati Uniti accompagnandolo a qualche presa di western rock con armonica a bocca. Dagli USA si passa al Giappone con Echi di Tokyo, pensierosa e condita di suoni elettronici.

Il disco è molto ben suonato e gode di un’eccellente lavoro di tessitura soprattutto da parte degli strumenti a corda. Si accolgono volentieri le variazioni di tema e di tono che passano dal rock più aperto agli influssi blues, talvolta con qualche vago sapore jazz.

I testi convincono di più quando, invece che trattare il tema generale, scendono nel particolare, raccontando una storia e soffermandosi nei dettagli. Nel complesso si tratta di un album maturo e completo, che si costruisce da sé la propria strada e che ha gambe abbastanza forti da seguirla.

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