Con un cammino piuttosto lungo e articolato alle spalle, la punkwave band romana 7After ha pubblicato il loro ultimo ep La serietà è morta nel 14. Li abbiamo intervistati.
La storia dei 7After sta per toccare il decennio: ci raccontate le tappe fondamentali (e magari anche le storie più strane) della vostra strada fin qui?
Intanto ci sentiamo già fortunati a essere riusciti a portare avanti il nostro progetto – non senza sacrifici – in un momento storico di profondo mutamento delle dinamiche culturali e di mercato della musica, specie quella indipendente.
Abbiamo cominciato nel 2010 con un progetto chiaro negli intenti ma ancora embrionale dal punto di vista delle influenze stilistiche, tanto che intitolammo il nostro primo lavoro, un ep live, influenze suine, un po’ per scherno nei confronti di chi ci chiedeva insistentemente quali fossero e un po’ per accentuare la poetica irriverente e critica che abbiamo sempre cantato.
Diciamo che il punto di svolta è stato il 2017, quando, dopo una prima fase più punkettona (anche nei live…), abbiamo sentito l’esigenza di virare verso delle sonorità che ci consentissero di accompagnare al meglio il messaggio.
La serietà è morta nel 14 è il vostro nuovo ep. Quali sono state le premesse di questo lavoro? Ci spiegate anche il titolo, preso dalla quarta traccia del disco?
Volevamo creare un lavoro più dark, con sonorità che rispecchiassero tematiche trattate in modo più profondo e diretto rispetto al precedente, Torneranno i Russi a Fiuggi, che si serviva maggiormente dell’artificio e del paradosso.
La nostra musica nasce dall’esigenza di una live band di lungo corso di esprimere ed elaborare realtà spesso inconcepibili o dolorose, perché creare una musica ragionata, un testo in grado di fornire uno spunto di riflessione al tempo dell’usa-e-getta ideologico, della rabbia manipolata ad arte, è un atto di resistenza intellettuale.
A tal proposito, il titolo riprende una frase dall’opera del controverso scrittore L. F. Céline. Abbiamo stabilito che nessuno meglio di lui, così spaccato tra grandi virtù e grandi viltà (per noi tra i più grandi scrittori del Novecento, epoca che si trascina ancora irrisolta in quella attuale), potesse rappresentare la complessità degli argomenti.
Che cosa significa fare punkwave in Italia nel 2019, genere che rivendicate orgogliosamente anche nella vostra pagina Facebook?
Rivendichiamo il termine “punkwave” per distinguerci dalle scena New Wave italiana degli anni ’80, che riteniamo in ognuno caso una delle più importanti espressioni della produzione nazionale e nostra matrice spirituale assieme al Punk.
La scena è nuovamente vitale, sebbene poco incentivata a livello mainstream perché, citando Federico Fiumani dei Diaframma “non ha mai venduto un cazzo, la Wave”. Quel che desideriamo è sviluppare nuovi e personali aspetti di uno stile con un passato illustre e ancora molto da dire.
Come nasce “La cantica dei disertori”?
Ci piaceva l’idea di un pezzo radicalmente differente, che mescolasse il punk con la musica tradizionale popolare. È la traccia certamente più ricercata. Per comporla siamo partiti dai canti anteguerra, dalle “mondine”, per capirci, arrivando a ritroso fino ai canoni medievali per creare una moderna “ductia”, una danza popolare in due parti che esprimesse contraddizione e assenza.
La guerra è fatta dal popolo contro il popolo stesso nell’interesse dei potenti: il discorso è piuttosto terra-terra, è così da sempre. Naturalmente il popolo non è sempre assolto, è spesso complice ma ecco: non basta la retorica (peraltro piuttosto macabra) di una parata militare o di un monumento ai caduti a compensare il peso dell’assenza di una singola vita spezzata.
Discorso ancora più sensato riguardo a quanti, per coscienza, fede o più umanamente timore hanno rifiutato il volere di un padrone. Mettiamola così: l’Italia è uno dei pochi Stati europei che non ha riconosciuto riabilitazione ai propri disertori, segno che la retorica della “bella morte”, del sangue (ma rigorosamente popolare) non è ancora superata.
Questo ep rappresenta un’anticipazione di un futuro lp oppure è da guardare come lavoro a sé stante? Quali saranno i passi futuri dei 7After?
I nostri lavori sono tutti allo stesso tempo interdipendenti e autoconclusivi: chiudono di volta in volta un cerchio a livello tematico pur mantenendo la stessa sensibilità. Il prossimo passo sarà un tour di qualche data per promuovere un ep che abbiamo il piacere di veder distribuito dalla leggendaria Contempo Records di Firenze, poi in Studio per il prossimo lavoro, che sarà un lp e vedrà la luce in concomitanza col decennale della band.
7After traccia per traccia
Si parte dalle onde lunghe de I Generali amano le viole, che ha sonorità new wave ma non troppo oscure. Il cantato, che arriva tardi, ha caratteristiche più trascinate e punk.
Nessuno farà nulla apre in modalità Killing an Arab, ondeggiando fra dark wave e orientalismi.
Più solenne l’ingresso de La cantica dei disertori, che orchestra un movimento di chitarra coordinato e sorretto da un drumming piuttosto potente.
La title track La serietà è morta nel 14 avanza per ondate, aggressiva, elettrica e piuttosto oscura, con un testo decisamente ribelle.
Il disco si chiude con Carne da cannone, altro intervento sul tema della guerra, con la chitarra che stavolta si allunga su tematiche psichedeliche.
Un ep magmatico, potente anche nelle sue imprecisioni, capace di far riferimento a un sound antico ma ancora molto vibrante. L’ennesima ripartenza dei 7After convince soprattutto in forza dell’autenticità dello sforzo e per la passione.