Tum, “The Dark Side of Minigolf”: la recensione

Dopo Take-off and Landing (2018), Tum pubblica il secondo capitolo del suo cammino musicale, The Dark Side of Minigolf e ci conduce in un paesaggio più intimo, dove la musica diventa la colonna sonora di pensieri vagabondi esplorando nuovi orizzonti sonori senza mai perdere la radice alternative folk che lo accompagna sin dai giorni dei Pocket Chestnut.

Si chiama così perché qualche anno fa mi sono trovato con i miei migliori amici a Riccione a giocare a minigolf. Una cosa stupida forse ma una serata diversa da tutte che ancora ricordo. Da quella sera le nostre vite sono cambiate…e se ci fosse stato qualcosa di misterioso tra quelle buche polverose… chissà.  Ci ho riflettuto e forse la vita somiglia tanto a una partita di minigolf dove la buca che per molti rappresenta un goal e per altri invece è solo un buco buio. Tempo fa ho visto un’intervista a Fontana, dove provava a spiegare i suoi tagli e diceva proprio questo – se vuoi vederci un buco è un buco ma non è un buco. In qualche modo una piccola illuminazione

Tum traccia per traccia

In un ambiente scuro e ambiguo si consuma Body Check, breve traccia d’apertura del disco, con risonanze electro ed echi alla NIN. Più tempestosa la seguente Emotional Gym, che pure si distende volentieri su un giro di chitarra, ma salendo di tono all’improvviso.

Ritorna la calma con The MooN! che assomiglia molto a una ballad acustica, con qualche indizio di rabbia distribuito qui e là. Ironica e più sghemba la narrativa di Toronto (Alone In), che adotta un atteggiamento scanzonato, con suoni americani a far da contorni.

Coro di bambini per l’apertura di una morbida Lay Your Love, vagamente lennoniana anche nel loop concettuale e sonoro attorno al quale si danza. Dopo il breve intermezzo “passeggiato” di Country si approda all’armonica a bocca di New Start, un nuovo inizio per mezzo ma anche un brano dal respiro largo e importante, con il drumming che punteggia il respiro largo del brano.

Molto più battaglieri gli istinti che mette in mostra Rat Race, quasi punk per atteggiamento e rapidità. Torna a rallentare Evolving, che prende la panoramica e mostra le attitudini melodiche di Tum, compresi i fiati nel finale.

Più nostalgica e celebrativa Old Friends, forse da cantare al pub con gli amici, appunto. Quasi tropicali i suoni di Komatiport (ZA), che però ha un cantato abbastanza variegato e non necessariamente sempre leggero.

Soffiano Four Winds sul brano successivo, che ritorna alla chitarra e all’acustico per un’idea di folk che incontra un modello di songwriting alternativo più vicino al contemporaneo e all’alternativo.

Il disco chiude celebrando un’assenza con You Are Not Here, che si nutre di risonanze e di suggestioni, nonché di una malinconia profonda che corre parallela al brano.

Tum propone una grandevolissima varietà di canzoni e di sensazioni nell’arco di un album che mette in evidenza tutti i suoi talenti di scrittura e di esecuzione. La crescita è evidente, i margini di miglioramento ancora importanti, ma la direzione è senza dubbio quella giusta.

Genere musicale: alternative

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Pagina Instagram Tum

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