L’intervista: Salvo Ruolo, fare i conti con il futuro #TraKs

Un disco importante, decisamente lontano dai canoni classici della canzone d’autore (almeno della canzone d’autore comunemente intesa), un tema lontano nel tempo ma con propaggini ben definite fino alla contemporaneità: Salvo Ruolo ha pubblicato Canciari patruni ‘un è l’bittà (qui la recensione) e noi lo abbiamo intervistato.

Puoi raccontarmi da dove nasce l’idea di un disco in dialetto siciliano antico dedicato alla storia del Risorgimento, visto con l’occhio dei vinti?

E’ difficile rispondere… Forse l’idea prende corpo durante la lettura di un libro o mentre guardi un film, oppure riascolti per l’ennesima volta Townes VanZandt e ti dici che il Far West tutto sommato lo abbiamo avuto anche noi e meriterebbe un approfondimento.

Il nostro Risorgimento bovinamente celebrato, con le ferite mai suturate e ormai marce ci rende come risultato un paese che possiamo vedere con i nostri occhi tutti i santi giorni. E non credo sia un bel vedere.

Nessuno mai ha veramente preso in considerazione Giustino Fortunato e la scientifica disamina che fa dell’Italia post unitaria. E allora mi sono detto che briganti, fuorilegge, anarchici o partigiani meritano molto più di qualunque governo.

Il siciliano antico è stata scelta obbligata per rendere omaggio a questi dimenticati dalla storia.

So che le ricerche linguistiche che hai dovuto fare sono state molto complicate: vuoi raccontarcele?

Be’ si… Un paio di vocabolari e testi li ho scovati all’estero. Poi c’è che la lingua siciliana ha 3 ceppi linguistici, è molto colta e musicale, un po’ come l’inglese. In più è la mia lingua e questo basterebbe a spiegare la ragione della scelta.

Ma scavando scopri che oltre a Giuseppe Pitrè – medico palermitano che fece per la lingua siciliana ciò che Alan Lomax fece per la musica folk – ci sono studiosi come il Mortillaro, straordinari poeti come Ignazio Buttitta a cui dedico un brano nel disco e che Pasolini definì il più grande poeta dialettale del mondo.

E come giustamente sottolinei, questa ricerca, questo scavare a quattro mani con Cesare Basile ci ha portati idealmente dall’altra parte del mondo evidentemente per ricordarsi che dopotutto nulla ci appartiene.

E molti di questi cialtroni che guadagnano 20mila euro al mese dovrebbero ricordarsi che la terra su cui appoggiano i piedi non è solo loro ma appartiene a tutti.

Perché hai scelto i linguaggi del folk e del blues per riproporre queste storie antiche?

Qualunque songwriter è condizionato da ciò che ascolta o ha ascoltato. Tutti alla fine copiamo qualcos’altro, l’importante è metterci anche del tuo.

Non so se il mio mood, il mio atteggiamento è abbastanza originale o no, so però che molte delle cose che scrivo appaiono blues a chi li ascolta. Ma forse è semplicemente perché mi piace la pasta ai “5 puttusa” (pasta con 5 buchi specialità siciliana).

Mi pare di capire che dietro alla tua operazione tutto ci sia tranne che un’idea neoborbonica o un revanscismo legato al passato. Ma secondo te perché questo Paese non riesce mai, in nessun caso, a fare i conti con obiettività con il proprio passato?

Mi spiace ma io non vedo un Paese o un popolo capaci di fare i conti con il proprio passato.

Emily Dickinson mi pare dicesse che il passato non è un pacchetto che si può mettere da parte e questo nel caso dell’italiano medio è più vero che per altri popoli.

Ma parlando di popoli si sottintendono confini, regole, leggi che impongono comportamenti o modi di vivere che nessun uomo libero può accettare. E parafrasando Dickinson dico che nessun governo dovrebbe decidere delle sorti di milioni di altri uomini e trattarli come pacchetti. Quindi il tema trovo sia la redenzione “tra” uomini.

Ci deve molto spaventare invece il futuro disegnato da questi pochi uomini al potere, queste plutocrazie che escludono l’uomo e lo fanno diventare un mezzo per raggiungere i loro sporchi obiettivi.

Credo che i conti dovremo farli con questo futuro che immagino sia molto brutto.

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