Radio Whitemary è il disco d’esordio di Whitemary: quattordici canzoni che sono un concentrato di elettronica tutte scritte, prodotte, suonate e cantate dall’artista aquilana trapiantata a Roma e che suonano come un manifesto programmatico o come la colonna sonora di un rito di passaggio, se esistessero riti di passaggio in versione techno. Radio Whitemary è un richiamo potente alla vita, un invito a ballare fino a perdere il fiato: canzoni che si innestano principalmente sulla cassa in quattro, con una trama musicale sempre trascinante, bassi che pulsano e saltellano come il cuore matto di Biancamaria, sintetizzatori analogici, testi brevi, diretti e incisivi come fossero dei mantra.
Whitemary traccia per traccia
Dopo l’introduzione iterativa di Non lo sai, si entra nella carne elettronica del disco con Sembra che tutto, fitta di battiti, ricca di dissonanze, con esiti piuttosto stranianti, a raccontare fondamentalmente un senso d’inadeguatezza.
Beat profondo anche per Niente di regolare, che rotola in realtà in modo molto regolare, in crescita e in cerca di un’accelerazione graduale.
Problemi di incomprensione alla base di Chi se ne frega, altro brano in cui alla frenesia dei ritmi fa da riscontro un cantato tutto sommato tranquillo, anche se con qualche picco.
Si accende poi la Radio, prima con calma e poi accelerando, per cercare di sbloccare quel nodo in gola che non si capisce. Pezzo di passaggio ecco poi (Intervista), remix di una chiacchierata in inglese.
E’ molto strano cesella le proprie sonorità attorno a una breve frase di testo, portandosi fino a conseguenze piuttosto acide. Credo che tra un po’ mi metto a urlare: il concetto è ripetuto, l’avvertimento di una prossima esplosione è lì sul tavolo, in mezzo a percussioni e sonorità che ondeggiano, alla ricerca di una visibilità precaria.
Decolla in fretta Provo, dico, irrobustita da un battito forte che si prende quasi tutta la scena, salvo lo spazio per un cantato molto esile e per questo anche più brillante.
Sempre più in fondo nel club, ecco Numeri e basta, che balla su suoni taglienti e molto vivi. Il testo potrebbe tranquillamente essere quello di una canzone dei CSI di inizio ’90.
Più internazionale ma sempre piuttosto 90s (vengono in mente i Kemopetrol) Mi sento, fitta di luccichii sonori. Presets/Doing anything forse ha un titolo che è da prendere alla lettera, oppure come una sorta di polemica ironica contro i luoghi comuni sulla musica elettronica, comunque arriva come un pezzo “di scarico” in cui per lo più si balla e basta.
Anche con Disco bisco si rimane in campi dove la voce si mette un po’ di lato e lascia parlare beat e synth. Il disco si chiude con Hello Hello, dichiarazione di debolezza che però si colora in modo quasi incontrollato.
Esordio già molto consapevole quello di Whitemary, che gestisce molto bene tutte le armi a propria disposizione. Una qualità di scrittura alta, che colpisce sia quando racconta sia quando omette. Loop di testo, giochi di luci, atmosfere cangianti e ritmi intensi per un disco di impatto notevole.

