A tre anni di distanza da Oro blu esce il nuovo album di Bresh, Mediterraneo. Il rapper/cantautore genovese fa un passo ulteriore dopo la sua partecipazione a Sanremo con un disco da sedici tracce, che è disponibile nelle versioni digitale, cd, lp e doppio LP. Le versioni in vinile saranno disponibili da venerdì 13 giugno.

L’annuncio dell’album è accompagnato da un trailer girato a Tenerife (LINK), che cattura per immagini l’essenza del concept dietro al progetto. La regia è di Emanuele Cantò, la musica che accompagna il trailer è composta da Shune, Michele Bargiggia e Rocco Biazzi, art buyer ed executive producer del progetto è Giulia Burti.

Bresh traccia per traccia

Il disco si apre con Rotta maggiore (Partenza), che guarda ciò che lascia alle spalle e si mette in viaggio con un brano più cantato che rappato, ancorché in modo fitto. Il mood è medio, non del tutto sereno ma nemmeno depresso.

Umore marea vive di contrasti più stridenti, soprattutto nel testo. Ricordi degli anni di scuola e altre memorie si intrecciano con le sensazioni del presente e con le sensazioni che cambiano lungo un percorso dettato da un ritmo battente.

Apertura quasi celtica per Capo Horn, che vede la presenza di un altro zeneize come Tedua, che entra in maniera abbastanza percussiva in un brano complessivamente molto melodico anche se movimentato.

Viaggi, Africa, barre piuttosto fitte e promesse di reincarnazione in Kamala: l’hip hop di partenza si insaporisce di ingredienti world music senza voler strafare, impostandosi al dialogo anziché alla sovrapposizione.

Ecco La tana del granchio, presentata a Sanremo: forse un po’ oscurata dalla magniloquenza della manifestazione (e anche dall’attenzione catturata dall’altro talento genovese Olly) la canzone è stata un po’ sottovalutata. In questo contesto, sonoro e concettuale, ritrova il suo posto e fa capire come sia nata in modo organico e non sia stata concepita per l’Ariston.

C’è Kid Yugi a dialogare su Altezza cielo, densa di immagini e un po’ più oscura e anche più aggressiva rispetto al resto del disco fin qui. Ma è un momento: Agave torna a viaggiare più in alto e a suggerire una leggerezza pur contrastata. Un incontro in qualche modo carnale assume tantissime sfumature e colori mescolati, in un brano molto pop senza sfiorare mai il banale.

Colori più scuri, com’è giusto che sia, quelli suggeriti da Popolo della notte, che passa dal personale alle questioni più vaste, senza approfondire particolarmente.

Genova, prima o poi, ritorna però sempre: Aia che tia è una fotografia di un giorno nei caruggi, che però sfrutta qualche corrente ascensionale per vedere la città anche un po’ dall’alto.

Molto ritmata Dai che fai, che di nuovo si aggira nei vicoli di Genova per ballare su un ritmo cadenzato e veloce. Si parla di cambiamenti e di ritorni, ma anche di una serenità complessiva conquistata.

Amore e pallone si mescolano in Guasto d’amore, che è diventata per volontà popolare l’inno del Genoa, onestamente di livello musicale molto più alto rispetto alla media degli inni calcistici.

Con Tarantola ci si immerge in discorsi più melodici e morbidi, almeno sulle prime: la voglia di un ritorno morde forte e punge, mentre i volumi si alzano.

Tutt’altre idee quelle di Erica, con Sayf, in immersione nelle acque tropicali, per raccontare di amori comprati per sconfiggere la nostalgia. Quadretti brasiliani a tempo di samba fotografano con ironia situazioni non necessariamente lucidissime ma divertenti.

C’è Achille Lauro ad aprire Il limite, che incomincia con un’elencazione che sembra una citazione, per poi evolvere con un brano che guarda verso speranze future. Un arco melodico di respiro vasto mette a confronto due talenti di una generazione tormentata che però sembra in procinto di trovare approdi sensati.

Con Shune ecco invece Altamente mia, una dichiarazione di possesso e di necessità, per un rapporto che non è privo di chiariscuri e anzi se ne nutre. Ultimo riferimento carioca si consuma con Torcida, che in realtà sottolinea ancora una volta il legame con la propria città, tra cantieri, baci e urla della gente.

Si era capito da un po’ che Bresh stava maturando in maniera molto rapida: la gavetta, l’incubazione genovese, la vicinanza con altri talenti locali hanno fatto da brodo di coltura per un cantautore/rapper che ha trovato la sua strada e la porta avanti con molto senso e con molta attenzione alle canzoni che scrive (non è scontato).

Non ha vinto lui Sanremo (ma quello che doveva fare indubbiamente lì l’ha fatto), ha rimandato qualche concerto, ha lavorato forse anche più del necessario all’album, finendo per schiacciarsi sull’estate, senza avere veri tormentoni da spiaggia che potrebbero accendere attenzione. Ma ha fatto un disco vero, pieno di canzoni intense e ricche di colori e di sensazioni, confermando di essere una delle voci da seguire con maggiore attenzione nel panorama contemporaneo.

Genere musicale: hip hop, pop

Se ti piace Bresh ascolta anche: Olly

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