Ed ecco qui #SHORTRAKS, una versione riveduta e corretta delle ben note recensioni in breve di TRAKS, le nostre famose raccomandazioni per evitare di perderti per strada qualche disco notevole. Prima erano cinque, ora sono tre, ma arriveranno più spesso, promesso.
Via delle indecisioni, Batracomiomachia
Secondo disco per Via delle indecisioni: con un titolo preso dalla celebre “guerra dei topi e delle rane”, erroneamente attribuita a Omero, il gruppo teatino pubblica Batracomiomachia (piccolo manuale per combattere guerre inutili), tra ironia e indie pop. Si apre con l’arrembante Vent’anni, con un senso di nostalgia futura e con un buon lavoro del basso. Ecco poi Batracomiomachia, con Mattia Stirpe, title track allegra e sostenuta. Amore burino è la traccia seguente, delicata quanto a suoni ma piuttosto “sporca” nel testo, nel senso proprio del termine, visto che descrive in maniera ironica un matrimonio in discarica.
Ecco poi la cadenzata Auf Wiedersehen, con qualche coretto e una chiave chiaramente pop. Siamo ancora gli stessi fa le differenze tra i tempi dell’oratorio e quelli del wi-fi, con qualche riferimento vagamente politico e all’attualità. Molto oscura e anche con un registro decisamente diverso Memorie, sicuramente meno pop ma anche tra le migliori del disco. La democrazia delle mie mutande conserva la stessa quantità di oscurità, declinata in rapporti torbidi per lo più sessuali ma anche politici, con riccioli elettrici temperati dall’attività del synth. Arriva poi Il cantautore, ritratto sincopato e piuttosto saporito. Non c’è quasi soluzione di continuità con la seguente Il mio vicino, altro ritratto cosparso di spezie e di suoni sintetici (ma anche no).
John Cage è evidentemente dedicata all’omonimo compositore, ma contiene una citazione inglese di un ben noto ex premier ed ex sindaco di Firenze che con l’inglese ha qualche difficoltà (che aggiungere se non “Shish”?). Un po’ più acida ed elettrica Aquiloni, animata anche da un certo senso di spleen e collocata in chiusura, con il contributo di Mattia De Iure. Un disco divertente, per larghi tratti, e ben eseguito, ricco di canzoni sostanziose anche quando, se non soprattutto, mostrano aspetti “leggeri”.
Vast Asteroid, S/T
Di base a Los Angeles, i Vast Asteroid sono una sorta di supergruppo, formato dalla ex bassista degli Warlocks Mimi Star, dal batterista della seminale band punk-rock Slaughter And The Dogs Mark Reback, e dal cantante e chitarrista James Poulos. L’album ha visto inoltre la partecipazione di Dave Catching (Eagles Of Death Metal) come special guest. Il disco prende il via dalla breve, introduttiva e crescente Mincemeat, che lascia poi spazio a Sleep, molto più aperta e rumorosa. Più timida Drown, che fa pensare alla dark wave ma con tratti rock ora marcati ora sognanti.
E se Vivid Dream si carica di sensazioni malinconiche, Sick, singolo di presentazione dell’album, si colloca nell’aura del rock internazionale anni 90 (Cure, Smashing Pumpkins, Hüsker Dü). Encrypted parte piano, costruendo le sonorità pezzo per pezzo. Invece Poison Fang si dispiega in lungo e in largo, caricandosi di suoni shoegaze. Si esce dal disco attraverso la lunghissima suite conclusiva Spacegaze. Disco con molte variabili in campo e ben strutturato, quello dei Vast Asteroid, che colpiscono nel segno per idee ed esecuzione.
Devil Within, Not Yet
Si chiama Not Yet l’ep di debutto dei bergamaschi Devil Within, il quintetto si ispira apertamente ad alcune delle realtà storiche del metal internazionale. Partenza a tutto gas con So Close, che mette in evidenza le basi rock della band, anche grazie a un potente assolo di chitarra. I ritmi di Unknown sono moderati, ma il drumming è molto vivo. Più centrata Price of Ideologies, anch’essa ricca di chitarre. Flat Feet, aperta dal solo drumming, e poi portatrice di energia. Un’etica piuttosto artigianale fa capolino sia nel mix sia nel cantato di pezzi come Hellcome. Diciamo così: è il debutto, e quindi le maglie della critica devono essere piuttosto larghe. Ma se l’ispirazione è buona, la band ha ancora da lavorare sull’esecuzione, perché ci vuole una certa padronanza del mezzo per proporre un sound “sporco” ma ben fatto.