Grow è l’album d’esordio dei Cau Porta, eclettico trio bolognese, pubblicato per la label indipendente Seekal’Indie. Alla stesura del disco, oltre al nucleo centrale composto da Vincenzo Matozza (batteria e percussioni), Felix Matozza (basso) e Giovanni Romeo (chitarre), hanno partecipato numerosi musicisti di razza come Maria Mazzotta e Rachele Andrioli (voci), Pasquale Mirra (vibrafono), Edoardo Marraffa (sax), Viola Mattioli (violoncello), Marco Vecchio (sax), New Horns Ensemble (fiati), Jerry Pepe (piano), Federico Ferrer (DJ) e tanti altri.
Il progetto Cau Porta nasce da un concetto di fondo, che è quello del “viaggio”, sia esso di una singola persona o di una moltitudine di individui. Il suono dei Cau Porta è il frutto dell’intreccio delle varie esperienze musicali e personali dei componenti del gruppo, differenti per provenienza geografica e background culturali, ma con una esperienza in comune: la migrazione.
A introdurlo sono gli stessi Cau Porta: “Grow e’ un augurio che facciamo a noi stessi e agli altri, quello di provare a vedere le cose da un altro punto di vista, cercando di capire che spesso proprio quelle che ci spaventano di più possono farci migliorare e crescere, se vissute in maniera diversa.
Questo album rappresenta uno sguardo dentro e fuori le nostre origini, e vuole essere anche un invito all’ascoltatore a ricordare le proprie. L’intero lavoro è animato dalla speranza che ognuno di noi, guardando un altro individuo, e considerandolo “diverso” solo perché proviene da un altro luogo, possa ricordare che una volta “noi siamo stati lui”.
Cau Porta traccia per traccia
Inizia dopo molto silenzio e un po’ di mareggiata Another Place, introduzione strumentale del disco.
Si rimane in area mediterranea, ma con influenze variegate e un robusto groove di basso con la Tarantella del Gargano, fra la tradizione e la modernità dei suoni che viaggiano verso il progressive e il jazz.
Here prosegue il percorso con fischiettii di uccelli e rumori di foresta, mentre il flauto tratteggia una melodia agile.
Movimenti molto meno “naturali” e quasi industrial nell’apertura della Pizzica di Galatone, altro brano “meridionale” e molto danzereccio, che però allarga i propri concetti ed esce dalla guaina della tradizione popolare, soprattutto grazie al sax.
Movimenti di basso e tromba (con sordina) a colorare il pezzo omonimo, Cau Porta, che si rivela molto affine al jazz ma anche fluido come mercurio vivo.
Toni più tranquilli e moderati quelli di Grow, title track che cresce in modo molto graduale, a partire dalle percussioni. Poi intervengono la voci a riempire gli spazi e a dare colori diversi.
Si torna a sud con Bella ci dormi, anche in questo caso sottoposta a un rimescolamento sonoro che porta però gli istinti mediterranei verso un connubio con il drum’n’bass. A chiudere, ecco i cori africani di Roho, con qualche pizzico di flauto e qualche sorpresa conclusiva.
Qui sotto c’è scritto “world music”, ma nella musica dei Cau Porta c’è parecchia roba in più. Come genere, perché prendono i suggerimenti della “musica popolare” e ne fanno un po’ ciò che vogliono. E anche nei contenuti perché fanno saltare parecchi steccati e tutte le etichette, confezionando un album soprattutto molto “libero”. E non è poco.