È Lovebars il nuovo album di Coez e Frah Quintale: per la prima volta insieme, gli artisti si uniscono in un album speciale che celebra la loro amicizia attraverso dodici tracce che compongono la tracklist. Dal rap al pop, i due artisti duettano e si confrontano, offrendo un’apertura morbida alla nuova stagione e qualche speranza a chi crede che l’indie non sia ancora del tutto morto.
Coez & Frah Quintale traccia per traccia
Le Lovebars di partenza sono distintamente hip hop: è Coez che apre il disco con Era già scritto, anche se l’intervento di Frah arricchisce e riequilibra un incipit molto autobiografico, piuttosto depresso ma decisamente ritmato.
Più Frah invece al principio di Terra bruciata, che apre discorsi decisamente melodici, con influenze che arrivano soprattutto dal mondo soul.
C’è un po’ di ironia su una molto soft Lovebars, la title track in cui i due confessano di “parlare con il cuore”, senza vergognarsi di sentimenti e di infatuazioni per una “signorina” che rapisce al primo sguardo.
Questioni di segreti trapelano da Fari lontani, in cui hip hop e canzone d’amore dialogano senza sforzo, con un crescendo d’archi che va d’accordo con l’autotune.
Ecco poi Alta marea, con i suoi movimenti del basso e con i suoi coretti: “Non si vince da soli ma ci si allea”, che è un po’ la frase simbolo del disco. Il groove si impossessa del pezzo e giustifica il successo che ha già avuto, per una semplicità di fondo che però non risulta né banale né ovvia.
Coez era convinto che i dischi d’oro fossero fatti veramente d’oro: questa è soltanto una delle rivelazioni che si nascondono nel testo di Vetri fumè, ritmata e abbastanza impetuosa, ricca di immagini in noir e di solitudini che prescindono dal successo ottenuto.
Qualche tappa che ha portato al successo è ripercorsa in Local Heroes, questa volta con toni un po’ più trionfali e a petto in fuori, con la solita ossessione per i metalli pregiati dei dischi.
Che colpa ne ho invece racconta un rapporto che è agli sgoccioli, con un po’ di tristezza filtrata attraverso le barre ma senza eccessiva disperazione. Unico ospite del disco, ecco Guè, che fa la sua comparsa nella molto oscura DM, cita Stankovic e Muccino, stende una coperta calda sul pezzo e completa le sensazioni di un brano particolarmente avvolgente.
Si viaggia veloci verso il finale del disco: Una luce alle 3:00 è un brano notturno ma speranzoso, mentre si fanno i conti con il buio. Frah rischia l’ira di Muciaccia e corre con le forbici affilate in mano, ma i sentimenti del brano sono più gentili che minacciosi.
Parla ancora del (e con il) buio Se esiste un Dio, ma in termini del tutto diversi, parlando di rapporti infranti, visti in prospettiva. Ultimo capitolo del disco, ecco Aspettative, episodio quasi acustico, a parte qualche movimento di chitarra elettrica, fatto di treni che spariscono per sempre.
Il connubio Coez/Frah Quintale funziona, a partire dal dialogo fra le due voci, per finire con coincidenze e differenze nel modo di scrivere. Le dodici tracce del disco assicurano varietà e ricchezza sonora ma anche di contenuti: riesce a suonare molto “indie” pur senza riempire il disco di cuori infranti e di depressione.
La scelta di associarsi, temporaneamente oppure a lungo, potrebbe essere una strada che prolunga la vita all’indie, all’itpop e a tutta la scena alla quale abbiamo fatto riferimento per anni e che sta affrontando un inevitabile declino. Ma Coez e Frah dimostrano che qualcosa da dire ancora c’è, con un buon tuffo nei suoni e nelle idee dell’hip hop, ma soprattutto tenendo le orecchie aperte e la mente agile.
Genere musicale: indie pop
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