As Far As I Know è il disco d’esordio del trio laziale Dead Bouquet: un debutto con crismi piuttosto significativi, visto che la band ha scelto come produttore e collaboratore Paul Kimble, bassista dei Grant Lee Buffalo, e come mastering engineer Joe Gastwirt, uno che ha nel proprio curriculum collaborazioni con Tom Petty, Jerry Garcia, Bob Dylan.
Un rischio, perché c’è la possibilità di strafare: ma la band di Carlo Mazzoli mantiene fede alle attese e produce un disco di folk-rock sapiente, ben indirizzato e molto gradevole.
C’è intensità e ci sono idee elettriche già a partire da The Dam, che apre l’album sull’onda di un ritmo insistente che cesella panorami scavati e sonorità profonde.
Più soffice e meno arrabbiata Little Thing, pur senza prestare il fianco a un ottimismo eccessivo; qui e là si alza la voce e si accettano paragoni con il miglior rock di ispirazione folk angloamericano.
Apparentemente morbida anche My Baby and I, il cui arrangiamento sottolinea soprattutto i passaggi oscuri e il climax (con memorie degli Who) che si instaura verso metà pezzo.
Il ritmo si alza con Curse, in cui il drumming si sposta in primo piano, contornato da una foresta molto articolata di suoni e di sensazioni. Suoni che sono piuttosto vintage nella title track, As Far as I Know, con arpeggi di dodici corde che possono far pensare ai Byrds e alla loro epoca.
Con Barking At My Gate si torna a ritmi più lenti, anche se la batteria rimane scalciante e pronta a prendere le redini; il finale propende verso accenni di psichedelia.
Molto elettrica anche Haven’t you said it?, con qualche idea quasi pop, echi di grandi cantautori americani. Si torna all’intimo con A Night on a Red Sofa, con la voce calda e rotonda di Mazzoli in primissimo piano.
Maggiori dosi di potenza ed echi lontani in And It Flows, che dà un’impressione di incedere importante, fino a un finale piuttosto arrabbiato.
Rabbia che si conserva in Nobody’s Sky, incisivo primo singolo (e video, che si può vedere qui sotto), più rock e appuntita di gran parte del disco, che in ogni caso non è mai fermo.
Singolare titolo francese, ma con sonorità che guardano sempre al di là dell’Atlantico, per Sur la Garonne, in cui è protagonista la chitarra, con un lavoro ricco di sfaccettature e sfumature.
Way Back Then si gioca su note leggermente differenti e sulla voce filtrata, nonché su esplosioni di batteria dai ritmi stranamente indiavolati. Si torna a ritmi molto più cauti con la ballata Stories, che chiude il disco su una nota malinconica.
Una produzione di alto profilo, quella dei Dead Bouquet, che non a caso hanno fatto le cose in grande e hanno fatto ricorso a nomi di alto profilo per un disco ricco, potente, intenso.
Non hanno cercato l’imprevedibilità, questo è chiaro, ma anche se si conosce con chiarezza ogni passaggio successivo di questo disco, si raggiungono paesaggi molto suggestivi.
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