Colpevoli è il nuovo album degli Effemme, duo formato nel 2023 da Francesco Fry Moneti, storico violinista dei Modena City Ramblers e de La casa del Vento, e Michele Mud, vincitore di numerosi premi, tra cui Voci per la Libertà – Una Canzone per Amnesty. In questa intervista scopriremo di più sul loro nuovo lavoro discografico.
Il concetto di “colpevolezza” nel vostro album si ribalta rispetto all’accezione comune: chi sogna e crede nella solidarietà diventa, paradossalmente, il vero colpevole. Da dove nasce questa visione e quanto è stato difficile tradurla in musica senza cadere in retorica?
Innanzitutto, grazie perché, come hai notato, è un tema delicato su cui il rischio di cadere nella retorica è dietro l’angolo. Spesso la finzione e il paradosso aiutano a evitarla. Mettere in scena una situazione apparentemente paradossale, di una società in cui tutti potremmo essere ritenuti colpevoli di avere sogni di fratellanza e di solidarietà, ci fa percepire quanto, in realtà, non siamo così lontani da quella ipotesi. La musica in questo caso è stata la chiave. L’idea del brano è venuta da una musica che Francesco aveva nel cassetto e che aveva già le atmosfere di inquietudine che hanno ispirato il brano.
L’essenzialità sembra essere un tratto distintivo del vostro sound: pochi elementi, scelti con cura, per dare forza alle composizioni. In un’epoca dominata dall’iper-produzione e dall’uso massiccio della tecnologia, quanto è stata una scelta consapevole e quanto invece una necessità espressiva?
È stata entrambe le cose: la scelta consapevole che la nostra identità espressiva sarebbe passata dal valorizzare i pochi elementi che un duo ha a disposizione. In realtà nel nostro caso, essendo Francesco un polistrumentista, avevamo diversi colori da giocarci, ma comunque volevamo che la forza del messaggio arrivasse dalla chiarezza compositiva e dalla espressività che entrambi sapevamo di poter mettere. Era un tipo di sound che avevamo scoperto già suonando insieme e volevamo che emergesse anche nell’album nel modo più vicino al live.
Nel vostro universo sonoro coesistono influenze diverse, dal reggae alla canzone d’autore, passando per la tradizione folk italiana. Qual è stato il criterio con cui avete amalgamato questi generi per creare un’identità sonora che fosse riconoscibile e non semplicemente un collage di suggestioni?
Non essendo “di primo pelo”, abbiamo entrambi lavorato molto sulla ricerca di una nostra identità artistica, nei nostri rispettivi percorsi individuali. Durante i primi live, prima ancora di pensare a un album, ci siamo accorti che, semplicemente mettendo insieme quelle identità e mantenendo aperto l’ascolto reciproco e il rispetto per le caratteristiche di ciascuno, emergeva già un colore specifico che faceva da collante anche facendo brani di generi diversi. Per questo, nell’album, siamo stati così attenti a valorizzare quell’aspetto, perché sapevamo che era ciò che avrebbe dato il senso di un lavoro organico senza doverci preoccupare troppo delle diverse influenze di ciascun brano.
L’album sembra suggerire un ritorno ai valori profondi e autentici, ma senza nostalgia o chiusura al presente. Quali sono, secondo voi, le difficoltà maggiori nel trasmettere questo messaggio oggi, in un contesto culturale sempre più veloce e frammentato?
Non vediamo una difficoltà nel trasmetterlo. Anzi. Durante i nostri live, quello che percepiamo, è che le persone lo apprezzano e non hanno difficoltà a lasciarsi coinvolgere da questi messaggi. La difficoltà è data dal fatto che queste tematiche hanno pochi spazi nei mezzi di comunicazione e quindi ciascuno le vive come una esigenza individuale.
Forse ciò che manca è una consapevolezza collettiva del fatto che tutti abbiamo una estrema necessità di un ritorno a quei valori. Ci piace pensare che il successo di nuovi cantautori emersi anche dall’ultimo Sanremo, possa essere un segnale che questo bisogno stia raggiungendo anche le alte sfere.