Elli de Mon, “Songs of Mercy and Desire”: la recensione

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Con un titolo un po’ Dylan e un po’ Nick Cave, esce Songs of Mercy and Desire, terzo disco di Elli de Mon. Attinge a piene mani dalla tradizione sciamanica di leggende come Bessie Smith, Fred McDowell e Son House.

Uscito per Pitshark Records, anticipato dal singolo e video Grinnin’ your face il disco vive di slide guitar, di ballad intime, e segna un ritorno alle radici, come spiega la cantante:

“E alla fine sono tornata a casa. Il mio nuovo disco è una ricerca delle radici da cui tutto è partito. Songs of Mercy and Desire parla di questo, di evoluzione, di cambiamento e di accettazione, di resilienza e di riscatto. È un disco autobiografico, che racconta i luoghi dove sono nata e cresciuta. Radici legate alla mia storia personale quindi, ma anche musicale. Le canzoni sono nate infatti attraverso i suoni minimali della chitarra acustica e della mia amata Weissenborn, che ho riscoperto e rispolverato”.

“Il suono acustico e intimo riflette anche il periodo particolare in cui ho scritto e registrato le canzoni, ossia la mia gravidanza. Le sferzate slide dei dischi precedenti ci sono anche qui, ma questa volta ho voluto lasciare spazio anche a ballad più intime, scritte cullando la mia pancia. È un disco più articolato rispetto ai precedenti, meno viscerale, più variegato, dove hanno trovato spazio anche la voce di Phill Reynolds, in un pezzo dedicato alla violenza domestica e i sax di Matt Bordin (the Mojomatics, Squadra Omega), che ha registrato il disco nel suo Outside Inside Studio.”

Elli de Mon traccia per traccia

Si parte da Louise, che furoreggia fin dalle prime note, accompagnandoci su territorio americano, tra blues e desert rock.

Let Them Out sviluppa trame molto fitte, su ritmi alti e risonanze profonde: a Elli non dispiace “pestare” un po’ e fare rumore, e in questo pezzo lo dimostra in pieno.

Si prosegue con una molto più tranquilla e fluida Riverside, ballad di stile e sapori antichi, con la chitarra sempre protagonista.

Parte piano anche Elegy, ma la naturale del brano è (stranamente) elettrica, con un crescendo che si fa rumoroso e cospicuo.

C’è di nuovo un fiume in Chambal river, ma si tratta di un fiume orientale, a giudicare dai suoni e anche da certe particolarità della canzone.

A proposito di particolarità: che dire della pjharveiana Wade the water (ancora dell’acqua), sulla quale si agita lo spirito del blues, ma con suoni che slittano da tutte le parti.

Ecco il singolo Grinnin’ in your face, che apre voce e battimani, per poi lasciare spazio alla slide.

Storm è una tempesta con chitarre e sensazioni country rock, con le radici della musica americana che spuntano da tutte le parti. Elli ci cammina a piedi nudi e non inciampa mai.

Si scorre con la chitarra anche all’interno della morbida Flow, che tuttavia a un certo punto si spezza in due e inizia a correre per la prateria, a ritmo di galoppo.

Chiusura evocativa con le note di Tony, che impazza particolarmente nella seconda parte del brano, con fiati dissonanti e un pezzo che scappa da tutte le parti.

Incantatrice e profetessa, Elli de Mon mette sul piatto un disco ricco di intensità, sfumature, sapori diversi e talento a piene mani.

Genere: blues, folk

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