erin kSolito discorso: di solito su TRAKS ci si occupa di musica italiana, vista anche qualità e tonnellaggio della produzione nostrana. Ma qui e là facciamo qualche eccezione. Ne facciamo una oggi per Erin K (vero nome Erin Kleh) reginetta dell’anti-folk che però ha effettuato per il suo nuovo disco, Little Torch, scelte molto “tricolori”.

Il primo vero album ufficiale, arrivato dopo un’attività live particolarmente intensa, ha preso forma proprio in Italia, a Livorno, affidandosi alla produzione artistica di Appino (The Zen Circus). All’album prendono prendono parte anche prestigiosi ospiti, tra i quali Roy Paci, Enrico Gabrielli, Simone Padovani (già batterista con Bobo Rondelli) e parte degli Zen Circus.

Erin K traccia per traccia

Si parte da No Control, con un incipit quasi solo voce e già molto intenso, con la voce di Erin che riversa le parole in un flusso potente. Pay to Play segue con passo morbido ma anche con un drumming particolarmente nervoso, quasi jazz. Assholio è quasi uno stornello (anche per il linguaggio), a confermare influenze italiche, anche se con caratteristiche di personalità particolari.

Più tranquilla Off to Bologna, che opta per una melodia dolce e morbida senza essere zuccherosa. Si gira in fiabesco con la leggerezza di Face, estremamente moderata e guidata nel proprio percorso da corde e archi. Beautiful Monkeeh ha qualcosa di molto sereno e anche un che di beatlesiano (meglio, di lennoniano) nel proprio percorso.

Dum Da Dum Song rispecchia il proprio titolo per giocosità e spensieratezza. Elementi che mancano da I Just Ate Shit, introdotta dalla voce di Erin che ritiene necessario specificare che si tratta di una storia vera (grazie Erin!): il tono è piuttosto drammatico, anche se con qualche schizzo di follia sonora.

COINS passa oltre ancora con leggerezza e con un’eleganza pop distinta e levigata. Il disco si chiude con Couldn’t, ballata per lo più voce e chitarra in cui i segreti contenuti nel disco vanno a dormire con un certo senso di pacificazione.

Un disco buono e sentito, con qualche spunto fantasioso e qualità spiccate, quello di Erin K. Al di là di misere considerazioni nazionalistiche, fa piacere che un’artista UK scelga persone e mezzi italiani per lavorare, a conferma di un movimento che ha chiare ragioni d’essere. Soprattutto in considerazione del fatto che il risultato finale è ben più che apprezzabile.

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