Si chiama {L’importanza [di essere (storti)]} il nuovo (anzi, “il primo e l’ultimo”) disco di Ernest Lostorpio, progetto che fa capo a Remo Santilli. Il polistrumentista originario di Chieti ha militato dal 2009 al 2012 negli esseoesse (pop-rock-jazz) coni quali ha fatto esperienza in tutto Abruzzo, suonando un po’ dappertutto, partecipando a vari concorsi e vincendone uno indetto dall’Halloween Pub di Ortona. Nel 2012 si trasferisce a Bologna e pratica per anni un cantautorato sperimentale con influenze teatrali. Ha partecipato a vari contest (Altroquando, CSA, Gnu m. f.) e si è esibito in molti locali della città felsinea.
Puoi raccontare la tua storia fin qui?
Secondo fonti esterne, quando ero piccolo cantavo Vasco Rossi e Gianluca Grignani… Però a 15 anni facevo Jim Morrison in una cover band dei Doors. Ho amato profondamente i Doors. Probabilmente lì è nato tutto.. Musicalmente sono cresciuto negli anni tra il ’67 e il ’73, da “Are you experienced?” a “The dark side of the moon”.
Poi sono pervenuto al jazz e ho capito la differenza tra pop e geometria… Tra romanticismo e armonia… Ho fondato un gruppo fusion (si fa per dire). Suonavo pure la chitarra. Dal ’08 al ’12 ce la siamo spassata portando la nostra musica in giro per l’Abruzzo. A questo punto è sopraggiunta l’età matura (teoricamente), il lavoro, gli studi. Dalla musica sono passato alla letteratura, ed ecco che si verifica qualcosa dentro: una presa di coscienza…
Nel ’15, a 24 anni, ho ripreso la chitarra (forte dei nuovi ascolti che spaziavano da Wyatt a Satie, passando per Dalla e Battisti), pronto a tornare in pista. Stavolta volevo creare un “personaggio” attraverso il quale esporre una “filosofia di musica”; praticare una specie di cantautorato alternativo; fondare il teatrino satirico-mediatico dei cantanti pazzi.
Nasce così Ernest Lostorpio, una maschera musicante/commediante che infastidisce la gente parlando di società, linguaggio, psicologia e scienze magiche, il tutto in maniera comica e, direi, fumettistica. Dal ’16 a oggi ho dedicato gran parte del mio tempo all’ascolto, alla pratica di nuovi strumenti (dal pianoforte al campionatore) e alla lettura. Ultimamente sto lavorando a una nuova maschera: Nemo Vantelsi, compositore-dj-producer, rampollo di un’ottocentesca nobile casata, dedito all’elettronica e alla neo-neo avanguardia.
Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nel realizzare il disco, se ce ne sono state?
La parte tecnica delle registrazioni e dell’editing sonoro è stata senza dubbio l’ostacolo maggiore. Far sì che un microfono renda al meglio, elaborare una traccia nei minimi dettagli, lavorare il suono, insomma.
Puoi raccontare le ispirazioni alla base del disco? Come sono andate le lavorazioni?
Per prima cosa ho trasformato una baracca in studio di registrazione. Poi ho racimolato l’attrezzatura necessaria. Il concetto alla base del disco è “la finzione”. Lostorpio e Vantelsi sono due maschere musicanti/commedianti.
L’intento dell’album è principalmente satirico. Anche questa intervista, come potrete notare, è velata da una non troppo sottile ironia. Un altro intento alla base di quest’opera è quello di ridare importanza alla scrittura e all’esecuzione orale, con particolare attenzione al contenuto e alla timbrica.
Anche a livello “social” sto pubblicizzando l’album attraverso una serie di “finzioni”. Per esempio, inventando recensioni.
“Uno schiaffo all’high definition musicale per la quale oggi un’opera è valida solo se possiede qualità audio, a discapito delle capacità creative e immaginarie, sostituite dall’ingegneria del suono.” Cit. Mara Maionchi
“Le capre non se lo cagano perché hanno paura e non ammettono di aver trovato il loro pastore-guida.” Cit. Vittorio Sgarbi
“Un album che ci spinge a guardare il mondo da una prospettiva obliqua, non scontata.” LA REPUBBLICA
“Quest’opera segna lo spostamento dal “bello e vuoto” dilagante al “brutto ma ridondante” LA STAMPA
“…Lostorpio ci insegna l’importanza del “piegarsi” alle cose (adattamento, accettazione).” IL CORRIERE DELLA SERA
“Se la normalità è frutto di una distorsione collettiva, allora da storpi le cose appariranno come realmente sono.” W. Blake (suppergiù)
Se non volete perdervi le prossime puntate di questo teatrino satirico, rimanete in contatto con la pagina FB di Ernest Lostorpio :D
Puoi raccontare la strumentazione principale che hai utilizzato per suonare in questo disco?
È stato bello cimentarsi nei più svariati strumenti (voce, chitarre, tastiere, basso, campionatore, percussioni… Senza considerare il martello, il bicchiere d’acqua con cannuccia e la sega elettrica).
Ho utilizzato Cubase 5 e delle Behringer B3030A nella fase di missaggio.
Elenco strumenti: Electribe sampler 2 (campionatore); Framus Monterey ’67 (chitarra elettrica); Korg R3 (sintetizzatore); Farfisa Matador (organo elettrico); Ibanez Gio (basso elettrico); oggetti vari; sostanze varie.
Puoi descrivere i tuoi concerti? Quali saranno le prossime date che ti vedranno coinvolto?
Nei concerti si esprime la vera essenza del progetto Lostorpio. Suonare live si significa per me delimitare uno spazio in cui vengono meno le cosiddette regole/convenzioni sociali. All’interno di quest’area prendono vita alcuni personaggi interiori: il cantastorie, l’elettricista, il satiro. Nella “finzione”, paradossalmente, sono veramente me stesso, perché sono libero. Dunque, la finzione è più vicina alla verità di quanto non lo sia la realtà.
In pratica, durante gli spettacoli interagisco con vari strumenti; alterno brani di stampo cantautoriale a improvvisazioni rumoristiche/elettroniche/teatrali; a volte mi ritrovo ad essere un Signor G di serie C. Attualmente non ci sono date ufficiali, ma nel ‘18 partirà un tour dei locali bolognesi.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?
I Verdena hanno sviluppato un percorso a mio parere completo ed evolutivo. Di loro mi piacciono le armonie e i testi (un ermetismo ben dosato che si amalgama perfettamente col sound).
Quando ho ascoltato “La macarena su Roma” di Iosonouncane ho pensato: «Cazzo, quest’album dovevo realizzarlo io», mentre il suo secondo lavoro mi ha colpito per le “combinazioni atmosferiche”. Peccato che la gente fraintenda sempre: si è passati dal dire che “Die” ha dei richiami armonici del Battisti di “Anima Latina” (cosa vera, considerando che “Anima Latina” è un album “anomalo” di Battisti), al considerare Iosonouncane il nuovo Battisti (non c’entrano assolutamente nulla). Comunque, giudizi popolari a parte, questi due sono gli indipendenti contemporanei che apprezzo principalmente.
Puoi indicare tre brani, italiani o stranieri, che ti hanno influenzato particolarmente?
-Anidride solforosa di Lucio Dalla
-Stinkfoot di Frank Zappa
-Montesole dei PGR
Ernest Lostorpio traccia per traccia
Le numerose stranezze dello stile di Ernest Lostorpio saltano all’occhio già a partire da Tutti vogliono partecipare, che propone un curioso pastiche di cantautorato, recitato, declamazione, narrazione in musica.
I cani sono sani fa qualche passo in là nel discorso, inserendo qualche sentimento quasi punk, sperimentazione, minimal music. Con Dolce un po’ volgare (un po’ di Papà Gorgia) si scelgono strade melodiche, pur costellate da surrealtà di vario genere e con qualche esito jazz.
Ecco poi Lince, con voci in conflitto e nuovi indizi di follia. L’altro (cantautorato house) mette il cantato al centro del discorso, con atteggiamenti quasi hip hop. Caino porta un po’ di cattiveria e di atmosfere minacciose.
Tra proposizioni di dimensioni coraggiose e ritmi da filastrocca ecco poi Ssialae’. Occhio di vetro si veste di influenze orientali, tra proclamazioni d’amore. Serenavuoleandareananna ammorbidisce i toni e si presta a un duetto accompagnato dalla chitarra classica. Si chiude con un’ondivaga e ambivalente La rete.
Disco davvero singolare, quello di Ernest Lostorpio: libere da limiti imposti, le “canzoni” dell’album viaggiano in ogni direzione possibile, fornendo un significativo quadro della personalità multiforme dell’autore.
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