“Noi siamo i Fast Animals and Slow Kids e veniamo da Perugia!”: un grido di battaglia pronunciato in tantissimi concerti dalla band formata da Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Alessio Mingoli e Jacopo Gigliotti, che in periodi di carenza di live manca tantissimo. Ma i FASK non sono rimasti fermi: benché la pandemia in Umbria stia incidendo male in quest’ultimo periodo (unica regione rossa a causa di un cluster particolarmente vizioso della variante brasiliana) non hanno smesso di lavorare e hanno appena pubblicato Come un animale, nuovo singolo e primo passo verso il nuovo album.
Via Zoom abbiamo così rivolto qualche domanda ad Aimone e Alessio, in rappresentanza della band, per chiacchierare del nuovo singolo, degli altri progetti e perfino di futuro.
Tanto per cominciare: come state?
Aimone: Guarda ti dico che io sono proprio “sotto spada” da questa cosa, anche perché ce l’ho vicino casa… Sto tremante, nel mio piccolo spazio. Però che dobbiamo fare? Abbiamo imparato a conviverci. Arrivano le ondate, una volta non tocca l’Umbria, la volta dopo la tocca e semplicemente dobbiamo abituarci a questa nuova modalità di vita distanziata. Per adesso. Poi ovviamente, con la testa propositiva, con la testa che spinge verso il futuro.
Io per primo voglio avere uno slancio propositivo verso il domani. Però al tempo stesso dobbiamo essere realisti e dobbiamo renderci conto che questa è la situazione attuale.
Ci siamo tutti un po’ rotti delle domande sulla pandemia e sui live e quanto ci mancano, ma l’ultima volta che ci siamo sentiti ho mandato un messaggio ad Aimone per dire quanto era stato figo il vostro concerto a Torino (luglio 2019). Perciò come si sta senza concerti, o meglio: come reagire al presente?
Aimone: Intanto ti ringrazio anche solo per averci riportato alla mente dei momenti belli. E poi Torino è per noi una città importantissima. Come per tutti i musicisti, ma noi abbiamo un sacco di ricordi divertenti legati a quella città.
Come si sta? Fino a un po’ di tempo fa ti avrei detto: “Immobili, seduti su una sedia”. Invece adesso è uscito il singolo nuovo, siamo qui a chiacchierare, abbiamo fatto tante altre interviste in questi giorni. Insomma, sembra quasi che la vita stia riprendendo sotto questo punto di vista. E allora mi voglio concentrare su questo. Sul fatto che non si è più immobili, si sta facendo qualcosa. Magari non porterà a musica dal vivo nel breve periodo, ma di sicuro porterà musica.
Riporterà quello una volta chiamavo “la mia normalità”: pensare alla musica, ragionare sulla musica, registrare. E’ un periodo in cui tutti nella band siamo carichi.
Alessio: Ci ha fatto anche sperimentare una dimensione creativa nuova. Nel senso che per la prima volta abbiamo avuto talmente tempo per scrivere i pezzi, per passarceli, per concentrarci, perché spesso scrivevamo durante i tour o nelle piccole pause tra un tour e l’altro. Invece adesso abbiamo avuto una spianata infinita di tempo davanti per riflettere e riscrivere. E’ comunque una modalità nuova per noi.
Aimone: C’è stata una cosa che è stata particolare rispetto alle altre volte. Il fatto che ci si pensa molto quando si fa un pezzo, però allo stesso tempo quando sei in tour, quando hai un’attività musicale molto forte, sei sempre in giro, sei di corsa, se non stai registrando stai facendo le prove per un concerto o un’altra cosa.
Insomma sei sempre sempre di corsa. Invece in questo caso noi avevamo soltanto la nostra musica da produrre. Ed è stato differente, ci ha riportato anche ai primordi. Quando c’era soltanto la sala prove e la musica che avresti dovuto registrare da lì a chissà quando.
Per il momento ci concentriamo sul singolo
“Come un animale” anticipa il prossimo lavoro. Mi raccontate come è nata questa canzone?
Aimone: In realtà l’idea del disco al momento stiamo cercando di metterla da un lato, perché se c’è una cosa che abbiamo imparato in questo periodo è che qualsiasi programma ti puoi fare, salta. Quindi da questo punto di vista navighiamo a vista. Per il momento ci concentriamo sul nuovo singolo e non stiamo pensando tanto al disco, al quando e il come. Ci sarà ovviamente, perché siamo pieni di pezzi e di idee, però non ci stiamo focalizzando sul quando e il come del disco, ma sul singolo, per far capire anche molti passaggi musicali dei Fask, che ci hanno portato verso una musica diversa da quella che facevamo precedentemente.
Sul singolo invece ci sono tutta una serie di cosette piccole e concrete che posso tangibilmente descrivere. Perché il disco mi fa veramente paura! Il pezzo è nato in due modi apparentemente distanti. La musica e il testo sono lontani tra di loro, però si ricollegano in un senso di libertà e di ripartenza. Il pezzo musicalmente parlando è stato scritto a fine lockdown: è un pezzo molto veloce, tirato, con la batteria dritta. Va e ti carica.
Ne parlavamo con Alessandro che ha scritto il riff: voleva essere un pezzo che quando sei all’ultimo chilometro di corsa e non hai più energie mentali lo metti e trovi qualcosa in te che ti fa andare ancora più veloce. Che ti fa trovare le ultime energie, che ti sfoga, la parte finale della corsa. Perché lui stava facendo questi giri di corsa dopo che l’avevano “liberato dalla gabbia”, un po’ come tutta l’Italia. E dall’altra parte io facevo lo stesso.
Praticamente ho passato un anno ad arrampicarmi e andare in cima alle montagne. Ho fatto praticamente soltanto questa cosa, oltre allo scrivere musica.
Per la precisione ho fatto quest’estate un lungo giro sui Sibillini: sei giorni di cammino, in giro, dormendo in mezzo ai boschi, un po’ così, into the Wild. Ho tanti riferimenti che mi portano a collocare questo pezzo nella libertà che ti dava un isolamento in montagna, che è diverso da quello provato in casa. L’isolamento in casa è qualcosa di forzato e poco riflessivo, quasi una prigione. Invece in montagna per quanto tu possa essere isolato hai di fronte l’infinito. Questo ti porta dei pensieri differenti.
Il “vate”, per certi versi, di “Animali notturni” è stato Springsteen per vostra ammissione diretta. Che cosa state ascoltando adesso?
Aimone: Be’ non è che Springsteen lo abbandoni…
Alessio: Ci accompagna da un po’ di dischi ormai…
Aimone: Rispetto a questo pezzo comunque ci sono due grandi influenze. Da una parte c’è lo stadium rock, che cerchiamo di fare a nostro modo. Quindi riprende sempre Springsteen ma anche gli Arcade Fire, un certo tipo di “rock corale”, qualcosa che “apre” e fa cantare uno stadio a cuore aperto. In realtà su questo pezzo nello specifico dall’altra parte c’è tanta new wave: se ci fai caso il primo riff di chitarra ha sotto la tastiera che segue.
E’ una cosa che, con il dovuto rispetto e senza mai paragonarci, abbiamo “rubato” a Love will tear us apart dei Joy Division, per esempio. Ma c’è tanta roba di New Order, Echo & The Bunnymen, c’è tanta new wave rivista. Ci sono anche delle cose matte, c’è del post rock alla Talk Talk di Spirit of Eden. Ci abbiamo messo tante reference dentro al pezzo. Ma sintetizzando c’è questa valanga di new wave in questa nostra riscoperta personale (perché solo noi non l’avevamo ancora approfondita) e dall’altra parte la nostra indole da stadio che urla.
Alessio: Poi c’è anche da aggiungere che la “nostra” riscoperta in realtà non è mai la nostra, ma è sempre pilotata da Alessandro Guercini, il chitarrista, che delinea le rotte musicali della band.
Aimone: Noi siamo diventati praticamente dei simbionti: ognuno fa la sua cosa, a volte anche nascosto, mediante sotterfugi terribili, ma riesce a portare tutti dove vuoi lui. Alessandro (a dire il vero lo chiama “l’Orsetto”, ndr) è quello che ci prende e ci fa ascoltare le cose, fino a quando non ci piacciono. E ce la fa.
Alessio: Ma ogni tanto in modo subdolo. Non so: io scopro una band storica che però non avevo mai ascoltato, tipo da tempo sono impazzito per The Cars. E dico: “Vedi finalmente ho scoperto una band che ho fatto mia…” Però poi dico: l’ho scoperta io o li ho scoperti perché Alessandro me ne aveva parlato relativamente ai Weezer che sono ispirati dai Cars? Insomma è sempre lui.
L’esigenza di ricondividere
Mi raccontate qualcosa della graphic novel Come reagire al presente edita da Beccogiallo che vi ha riguardato?
Alessio: E’ stato un altro di quei progetti che ci hanno dato del respiro in questo periodo. Eravamo completamente fermi e ci siamo trovati a parlare con Beccogiallo, la casa editrice di questa graphic novel. Avevamo sempre in mente l’idea di raccontare la nostra storia in qualche modo, magari scriverla attraverso un libro.
Però poi c’è sempre sembrato forse inadeguato. Forse è troppo presto perché speriamo di scrivere tante altre pagine e tanti altri anni di musica. Però approcciandoci con la loro idea di una graphic novel che comunque ha una modalità di scrittura e di comunicazione molto veloce e immediata, ci hanno convinto della validità del progetto ed è stata un’idea super interessante.
La storia è divisa in capitoli, e ogni capitolo è affrontato da un disegnatore diverso. E’ anche molto bello vedere come ogni disegnatore ha approcciato la nostra band, come ci ha rappresentato e alla fine il risultato siamo noi.
A parte i dibattiti e le risate che ci sono state sul fatto che a me non hanno disegnato abbastanza bene… Gli altri mi prendono in giro perché io non mi sono riconosciuto in alcune vignette ed essendo il tramite con loro…
Aimone: … le ha censurate, diciamo la verità!
(ridono)
Alessio: … Ero raccomandato!
Aimone: Comunque l’esperienza fumetto è stata molto molto figa. E’ stata una piccola ripartenza dopo l’annullamento del tour e tutto il periodaccio. E’ stato bello anche perché abbiamo fatto le presentazioni del fumetto in tutta l’Italia. Anche se c’erano venti persone, rivedersi dal vivo, rivedere le facce, suonare una chitarra con quell’ansietta da prestazione che ti eri quasi dimenticato, perché quando lo fai spesso entri nel giro e non ci pensi più a queste piccole cose che si sviluppano solo all’inizio, è stato veramente bello.
E poi la gente ci ha ridato indietro tanto, perché c’era tanto bisogno, e ce n’è ancora di più adesso, di ricondividere qualcosa. E’ stato bello anche perché ci siamo visti dall’esterno: abbiamo visto i FASK dispiegarsi di fronte ai nostri occhi. Non è una cosa che capita molto spesso, soprattutto se fai parte della band.
E oltre a questo abbiamo visto dispiegarsi di fronte ai nostri occhi una benevolenza nei confronti della band e di noi come persone che non ti lascia mai indifferente, anzi è la propulsione, la benzina che ti dà carica per fare altre cose oltre al processo musicale.
Alessio: Tra l’altro ho apprezzato tanto lì per lì e apprezzo ancora di più adesso. A ripensare a quei giorni di tour del fumetto mi vengono quasi le lacrime.
I FASK a Sanremo e una musica da salvare
Una domanda su Sanremo è d’obbligo visto anche il periodo, anche perché siete praticamente gli ultimi indie importanti a non esserci andati. Perché?
Aimone: E’ una cosa che ci dispiace perché ci sarebbe piaciuto andare. Però il concetto è anche questo: dev’essere il momento giusto, ci dev’essere una serie di intrecci. Sanremo non si fa così a cazzo, Sanremo si fa quando tutto funziona e quando l’intreccio astrale c’è. A partire dal pezzo che convince, dal pezzo più potente che hai. E’ un po’ così, l’idea che ci siamo fatti nel corso del tempo è che Sanremo è così importante, così centrale per la carriera degli artisti in Italia che devi andare lì con la canzone più importante che hai.
Io penso sempre a band magari simili a noi, penso ai Subsonica con i quali abbiamo anche un rapporto. Vanno lì e fanno Tutti i miei sbagli. Il punto è che devi tirare fuori la bomba, devi tirare fuori il pezzo della vita. E’ difficile per un artista a prescindere. Figurati per un programma televisivo.
Quindi Sanremo non è quest’anno, sarà l’anno prossimo, sarà fra due anni, sarà fra dieci. Sarà quando sarà. L’importante è arrivare lì con la cognizione di causa e il rispetto che richiede una manifestazione del genere. Provare Sanremo non è possibile. Si può fare Sanremo e farlo molto bene.
Venendo al discorso “salviamo la musica” secondo voi c’è qualcosa che musicisti, addetti ai lavori, stampa avremmo potuto fare e non abbiamo fatto?
Aimone: Questa è una domandona. La interpreto in senso ancora precedente al lockdown. Avremmo dovuto combattere per i nostri diritti come hanno fatto molte altre categorie e professioni.
Ci siamo trovati così male perché non abbiamo mai avuto questo senso di unità. Non c’è mai stata un’identità professionale condivisa da tutti. Ognuno ha trovato le proprie vie e ogni singola band era un mondo isolato dagli altri.
C’era una sorta di competizione che nel corso del tempo non ha permesso di creare una classe professionale unita. Era una cosa che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. E tante cose ora si sono mosse, sono sicuro che nel prossimo periodo qualcosa verrà fuori. C’è una coscienza più profonda di quello che significa fare l’artista in Italia, viste le difficoltà che ormai incontriamo tutti da un anno, visto che si parla di dodici mesi senza lavoro.
“Durante” è stato fatto molto, ho visto molta gente prendersi a cuore, dai grandi artisti che si sono schierati a favore dei lavoratori, di coloro i quali permettevano loro di salire su un palco, ai piccoli come noi che hanno cercato di tutelare tutta la filiera. Non so cosa si poteva fare, non mi viene in mente una soluzione migliore.
Anch’io sono stato coinvolto in questo in termini di sussistenza. Quello che abbiamo cercato di fare noi FASK è stato di campare un anno in più. Quando sei impegnato a campare, viene difficile venire a crearsi dei piani più ampi. Stiamo cercando anche noi di risalire la china.
Alessio: E forse è proprio per questo che non si è fatta comunità. Il nostro mondo è spesso impegnato a galleggiare. Quando sei impegnato in questo a volte ti viene anche difficile pensare a un interesse comune. Sei sempre preso dall’esigenza del momento, dall’emergenza, dal cercare di navigare a vista.
Aimone: Io l’ho vista da vari punti di vista perché sono anche un promoter e organizzo eventi. Quindi vedo questo mondo da due lati. Da una parte l’artista che cerca le proprie sicurezze, e dall’altra un mondo di lavoratori dietro le quinte che per organizzare un concerto smuove mari e monti ed è sempre più complesso in Italia dal punto di vista di normative e di burocrazia. C’è tutto un tema molto complesso connesso alla cultura in Italia per cui in tempi passati si è fatto poco per metterlo a regime. Nel futuro dovremo continuare a parlare di questo e dovremo cercare di snellire e di facilitare l’accesso alla cultura e dall’altra parte la possibilità di far cultura per quanto riguarda i musicisti.
Chiudiamo tornando ai concerti: ieri abbiamo pubblicato un #quellochesentivo firmato da Chiara Orsetti che prendeva come spunto il testo della canzone Animali notturni per spiegare tutte le nostalgie da concerto che stiamo covando. Quale sarà la prima cosa che farete o direte nel primo concerto post pandemia?
Aimone: Io ci penso ogni giorno! Io non so cosa farò! L’unica risposta che mi viene è questa. Abbraccio tutti, bacio tutti, poi spacco una chitarra però la riprendo, la suono… Io non so cosa succede in quel concerto, ma quando arriverà, quando arriverà… Io me lo ricorderò
Alessio: Io conoscendo le pezze che attacchi durante i concerti penso che il primo concerto sarà solo una lunghissima pezza di ringraziamento commosso, poi dal secondo si inizia a suonare!







