g.em: “Credo che per fare musica sia imprescindibile incontrare gli occhi delle persone”

g.em

E’ disponibile da giovedì 1° maggio 2025 su tutte le piattaforme digitali (fuori per Brutture Moderne e in distribuzione Believe) il nuovo singolo di g.em, l’alter ego musicale di Giorgia Macrelli.

Il brano – realizzato in collaborazione con OASI (team di produzione e registrazione musicale composto da Andrea Scardovi e Francesco Cinque) si intitola Manifesti e porta con sé tutta la carica emotiva di un’anima itinerante che cerca di vivere senza affanno.

g.em, cantautrice ed eclettica musicista, attiva dal 2017, è un’artista capace di trasformare ogni strada e ogni palco in un luogo d’incontro autentico tra musica e poesia. Con la sua voce delicata e gli strumenti che l’accompagnano – pianoforte, ukulele, chitarra… – racconta storie che parlano di fragilità e forza, di radici e di viaggi. La sua arte nasce quindi in movimento e viene influenzata dai luoghi, la Colombia in questo caso, e si nutre di incontri, seguendo il ritmo delle stagioni e dei luoghi che attraversa.

Abbiamo intervistato Giorgia, consapevoli di avere di fronte una delle voci più interessanti di questo periodo di sovrabbondanza, ed ecco cosa ci ha raccontato riguardo “Manifesti”, il suo nuovo singolo.

Ci racconti qualcosa in più sulla tua “passione” per i poster? Di che cosa si tratta, quando è iniziato tutto, e che cosa ha a che fare con il tuo ultimo singolo dal titolo Manifesti

    Le nostre città sono piene di manifesti e spesso ci raccontano la vita di una comunità: ci troviamo eventi, concerti, corsi, festival… li cerco continuamente in ogni città che visito o in cui mi trovo a vivere per un po’ e da qui è nata l’idea dell’inizio della canzone.

    Per un periodo, cercare un segno dentro i manifesti della mia città, Cesena, in cui ero tornata da poco, mi aiutava a sentirmi ancorata, a trovare il senso del mio stare. Lungo tutta la canzone sono in dialogo con me stessa per capire davvero dove trovarlo… spoiler: non sta nei manifesti ;) 

    E oltre alla Colombia, che è protagonista di questo pezzo, quali altri luoghi hanno abitato i tuoi pezzi sinora? Ci fai qualche esempio? 

      Oltre alla Colombia, che ha ispirato la filosofia che permea tutto il pezzo, qua ci sono anche “tutte le città straniere” in cui ho suonato, studiato, camminato e sognato, tra tutte Amburgo e Barcellona. I luoghi sono molto importanti per le mie canzoni, ci sono legate dal primo momento in cui inzio a pensarle. Per esempio Comete, un brano dell’ep in uscita, abita in Germania ma parla di un’estate in Romagna, Gate 53 sta in un aeroporto e Calze Rotte viaggia su un autobus Roma-Cesena.

      Pensi che la scena musicale e in particolare i centri di Roma e Milano, possano favorire questo “vivere con ansia” anche la musica?

        Roma e Milano sono due città profondamente diverse, ma credo che in entrambe abiti l’ansia di entrare nella scena “giusta”, di essere considerati e farsi un nome, cose che spingono a essere in costante competizione con gli altri… non è esclusa nemmeno la provincia da queste dinamiche, sono un po’ ovunque. L’importante è circondarsi di persone e artiste che la vivono più o meno come te, che sentono e vivono la musica in un’ottica di condivisione e non di scarsità di occasioni che spesso spinge a sgomitare. E ricordarsi che non serve sempre correre.

        Quale ruolo ha la musica live nel tuo progetto musicale?

          Ho iniziato a suonare live più di 10 anni fa, partendo da un duo acustico con cui mi esibivo su una panchina sul Porto Canale di Cesenatico. Poi ho continuato da solista, suonando per le strade di tante città, nelle case, nelle cucine, nei giardini, in spiaggia all’alba o in alta montagna… praticamente tutti i luoghi che cito in Manifesti. Credo che per fare musica sia imprescindibile suonare tanto e incontrare gli occhi delle persone: in quel preciso momento c’è uno scambio di energia potentissima che è quello che mi fa continuare a fare questa cosa meravigliosa che è la musica.

          Quali strumenti hanno accompagnato il tuo percorso musicale? E come hai imparato a suonare e ad approcciarti alla musica? Possiamo definirti una polistrumentista?

            Direi di sì: ho iniziato con lo xilofono a 6 anni, facendo propedeutica musicale nella scuola comunale della mia città. Poi a 8 anni ho iniziato a studiare pianoforte, dopo 10 anni ho preso in mano anche la chitarra e per pura fortuna l’ukulele, entrambi da autodidatta.

            Quest’ultimo mi ha aperto il mondo del busking ed è diventato il mio amatissimo compagno di viaggio. Sento che ora è tempo di arricchire ancora, i miei strumenti principali rimangono quelli (per ora) ma mi piace sperimentare con i synth e gli effetti vocali, nuove suggestioni che si sentono a partire proprio da Manifesti

            Pagina Instagram g.em

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