I Giardini di Chernobyl  pubblicano il loro nuovo album Duel, per l’etichetta discografica Revalve Records. Duel contiene dieci brani, cinque dei quali, sono stati affidati alla direzione artistica e produzione di  Marco Trentacoste, che ha prodotto e collaborato con artisti internazionali, come Lacuna Coil, KMFDM, Hooverphonic, Jaz Coleman dei Killing Joke e Josh Freese. Gli altri cinque brani invece, sono stati affidati alle cure e alla produzione di Manuele Pesaresi di “Dyne Engine Studio”, che ha prodotto e collaborato con moltissimi artisti tra cui James Labrie dei  Dream Theater, e in Italia Simone Cristicchi.

I Giardini di Chernobyl traccia per traccia

Si parte dalla title track Duel, un pezzo ribollente e in attesa di esplosioni che puntualmente arrivano, contrastanti rispetto un cantato quasi sereno.

Panorami più vasti quelli che offre Oceania, che ha sentimenti morbidi distribuiti su letti di chiodi, ma con una malinconia che aleggia ovunque.

Hush, titolo che fa pensare ai Deep Purple (ma anche a Batman) arriva con tempeste di fuoco e drumming, confermando le oscurità e anzi scavando anche più a fondo.

C’è molta desolazione che armeggia sul fondo di Phoenix B, altro pezzo che si infila in tunnel elettrici e non riesce a uscrine.

Invece Vera preferisce esplicitare tutte la propria aggressività, spalmandola sulla lunghezza di un pezzo molto dinamico. Se qui e là il disco fa pensare ad atmofere tipo primi Marlene, qui siamo in campo Verdena.

Tamburi di guerra quelli che introducono Profondo Blu, canzone di malinconie che si diffondono e che fanno riferimento alla dark wave.

Altro personaggio del dramma, Edgar picchia molto duro e incendia l’atmosfera con chitarre e drumming.

Ma se Edgar è incazzato, Grizzly che segue è davvero una furia, con un livello di noise alto e sensazioni piuttosto 90s.

Si rallenta con Hieronymus (Bosch?) che dipinge in elettrico un affresco molto rumoroso, dal battito rallentato ma non per questo meno incisivo.

A chiudere, ecco La stanza rossa, altra reminescenza pittorica (stavolta Matisse): le pennellate qui sono forti e decise, ma il cantato contiene sempre tratti dolorosi.

Disco un po’ retrò, quello dei Giardini di Chernobyl, dove però lo sguardo alle sonorità del passato è funzionale a corroborare un buon numero di canzoni forti e intense. Un passo avanti per un progetto interessante.

Genere: alternative metal

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