Un disco, Go Go Diva, che sembrerebbe voler segnare una certa qual voglia di cambiamento e di apertura a nuove sonorità (anche se loro, a dire il vero, non ne sembrano convintissimi: il nostro parere è soprattutto nella recensione pubblicata qualche tempo fa).
Fatto sta che oggi come oggi è difficile ignorare La rappresentante di lista e i suoi talenti: Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina sono uno dei nomi più intelligenti e talentuosi del pop italiano di questo momento.
E’ indubbio che, sia a livello sonoro, sia a livello di testi, “Go Go Diva” rappresenti per voi una svolta. Potete raccontare come nasce?
Non pensiamo sia una svolta, ma la prosecuzione di un percorso avviato otto anni fa, costellato di duro lavoro e ricerca. Nasce come sempre dalla curiosità di mettersi in ballo, di prendere delle scelte, dalla voglia di creare per noi e per gli altri uno stato di meraviglia e di fantasia a cui appigliarsi.
Nasce perché è figlio di questo tempo, ma non ancorato a esso, è in divenire, è in azione. Nelle sue parole percepiamo movimento e necessità di trasformazione. È nato in Marocco, a Palermo, a Viareggio, a Milano e a Copenhagen.
Mi sembra evidente, soprattutto dal singolo e dalla copertina (ma spunta in molti punti del disco) una certa necessità di fisicità. Che forse è sempre stata presente nella vostra musica, ma che ora mi sembra più diretta. Si è sollevato qualche velo?
“E mi toglie il fiato, / il respiro scivola tra i denti / e così sorridere / sorridere / sorridere mi basta. Poi vienimi addosso / e la mia pelle è un organo sottile / che ti scioglie / che ti digerisce.” Questa è la parte di una canzone del primo disco. Oggi come ieri abbiamo sempre sentito la necessità di raccontare fisicamente le emozioni. Probabilmente è il teatro che ce lo impone. Il teatro prevede i corpi contestualmente alla parola. E non possiamo prescindere da questo tipo di scrittura a doppio binario. Se qualche velo si è sollevato, lo abbiamo tirato su noi. È stato necessario e non ci ha trovati impreparati.
Invece quello che sento meno sono le vostre ben documentate influenze e radici teatrali, a favore di un’espressione che potrei definire “power pop” (e qui e là punk rock). Messe da parte provvisoriamente?
Non so bene cosa s’intenda per “teatrale” quando si parla di musica. Il teatro è uno dei nostri momenti formativi più importanti come artisti. Non sentiamo la necessità di nasconderlo o di enfatizzarlo. È uno strumento che usiamo quando serve, è un mostro che si manifesta quando ha voglia di divertirsi un po’ con chi ha paura di lui. Le canzoni di questo disco ci hanno chiesto questo tipo di sostegno musicale. Per noi è Queer Pop, come abbiamo detto altre volte. Crediamo che fare punk o rock in occidente oggi sia davvero molto complicato. Preferiamo svincolarci da termini e classificazioni facili o preferiamo prenderli in prestito da altri ambiti.
Guarda come sono diventata mi sembra la canzone più intensa del disco. Come nasce?
È una storia davvero molto personale. Così tanto che non credo di avere voglia di scendere nei particolari più di quanto non si colga già nella canzone. Ma c’è un dettaglio, l’epiteto “luce dei miei occhi” lo usava un personaggio di un testo teatrale scritto da Dario parecchi anni fa. La cosa che mi piace di più di questo testo è lo stravolgimento di una classica allegoria astronomica secondo la quale Luna e Sole sono rispettivamente donna e uomo, Selene e Apollo.
Qui invece la nostra Diva assume tanta consapevolezza da splendere come il sole e da far brillare lei stessa la luna col suo bagliore. “Guarda come sono diventata” è una canzone nata con due anime. Molto banalmente in un grande quaderno dove abbiamo appuntato per mesi quelli che sono poi diventati i testi di questo disco esistevano delle strofe (una sorta di elenco di desideri) e più in là questo ritornello (“Splendo già da un anno e non è ancora finita”). Quell’anno di cui si parla è il tempo della lontananza, la distanza della consapevolezza. Quando abbiamo capito che potevamo coniugare queste due anime, è nata la canzone.
Tre nomi della musica italiana del 2019 che vi piacciono particolarmente?
C’mon Tigre
Cecilia
Dimartino