La recensione: “Dans la rue”, Portugnol Connection

Esce il 10 aprile “Dans la rue“, il debutto di una band che salta con agilità fra svariati generi: si chiamano Portugnol Connection e sono nati nel 2009 dall’incontro tra Riccardo Bergottini, Christian Carobene, Claudio d’Emilio, Luca Telò e Alberto Pispero.

Sulle prime, sembra che l’ambizione dei Portugnol Connection sia quella di confezionare un affresco ricco di immagini mediterranee, tra patchanka e ska, in un’operazione non inedita. Ma ascoltando con attenzione ci si accorge come lo sguardo si allarghi: ci si addentra in deserti più lontani, senza perdere la bussola di una solida costruzione delle canzoni.

Dans la rue apre con la title track ed è subito un mix sapiente di tutti i punti cardinali; più morbida Orient Express, che continua il tema del viaggio ma con svariati cambi di ritmo. E dall’Orient Express, spesso mito di viaggiatori d’altri tempi, il testo qui spiega che si vuole scendere, perché è un po’ troppo finto.

Si picchia con insistenza ne Il Vino, che apre rock e che richiama suoni folk celtici, secondo schemi già usati da band come Bandabardò o Modena City Ramblers. A differenza dei Ramblers, però, qui non c’è nessun timore nell’uso dell’elettronica, dove serve.

Madness ha l’aria di essere un tributo all’omonima band ska, ma con un condimento assortito di strumenti che copre un raggio forse più ampio del classico 2 tone. C’è poi la cover di Mackie Messer, il classico di Bertolt Brecht e Kurt Weill che ha avuto moltissime riletture. Qui non manca l’originalità, però: si apre con un breve assolo di chitarra che richiama certi pezzi di rock’n’roll anni Sessanta, poi entrano i fiati e il racconto teatrale si trasforma in una messa in scena vera e propria.

Chango ci porta in Centro/Sudamerica, con ritmi, chitarre e fiati tra deserti e cactus. Gioco di echi ne La luna e il vento, vicina al d’n’b. Ma alla fine la band tiene sempre bene in vista il risultato, cioè un pezzo pieno, riuscito e originale: il vestito che gli si trova cucito addosso è davvero secondario.

Konfucio Roads, a dispetto del titolo, ci trasporta sulla cordigliera delle Ande o giù di lì e ci regala un’immagine indimenticabile (“Salto sul letto in mutande a pogare con i Clash”) e una rilettura interessante dell’eterno paragone tra formica e cicala. Arriva quindi Poder Mestizo, che mette in rilievo qualità anche una costruzione per chitarre che non lascia indifferenti. Si chiude con Il dislivello, rivoluzionaria il giusto.

E’ un disco con trovate sorprendenti (tipo aprire “Madness” con un organo tipo Jon Lord), e con molte idee. Se gli elementi di partenza possono anche essere gli stessi delle band ska, il risultato è totalmente diverso: nessun pericolo di noia, nessuna ripetitività, sapienza nell’uso e nel dosaggio degli strumenti. Da ascoltare, più volte.