Che questo non sia un tempo di moderazione, ma di estremi, lo si capisce nella vita di tutti i giorni. Lo conferma anche un disco come Danza Globulare, lavoro elettronico uscito di recente e firmato da Gianni Banni, nome d’arte di Enrico Iannaccone.
Iannaccone ha già avuto modo di illustrare i propri talenti, ma in campo non musicale: un David di Donatello vinto per il miglior cortometraggio nel 2013 con il potente e autentico L’Esecuzione, altri cortometraggi realizzati, ma una sempre coltivata passione collaterale per la musica elettronica.
E’ un’elettronica, quella di “Danza Globulare”, a bassa fedeltà (l’autore parla di “suoni Playmobil”, sottolineando l’attitudine minimalista, oltre che la tendenza a non prendersi troppo sul serio), a volte tesa verso l’esperimento, a volte verso il gioco puro e semplice.
Apre il disco Mio non tuo non mio, che si getta a capofitto tra le dissonanze per poi far emergere passaggi di una danza oscura. I contrasti perdurano per tutto il pezzo creando un climax che arriva all’apice alla fine del brano.
Picchi apre tra echi dei King Crimson, ma poi accende un dibattito di nuovo a base di dissonanze per lo più pianistiche. I riferimenti cinematografici arrivano con Boris Karloff e le donne: ci si muove in una specie di sukh vibrante e confuso, in cui ci si deve fare strada quasi spostando i suoni con le mani.
Tanti galli a cantare conferma la tendenza minimalista che si legge in tutto il lavoro: un ritmo semplice e ripetuto, cui fa da contrappunto un assolo che potrebbe essere di tastiera così come di chitarra virata e stravolta, ma rimanendo sullo sfondo, senza arrivare mai al proscenio.
Quanto durate (qualcuno può spiegare perché quando si leggono titoli di questo genere viene da pensare subito alla politica?) per una volta abbandona il lo-fi, apre epica e, in senso antico, “cinematografica”. Nella seconda parte si instaura un dialogo quasi jazz tra tastiere e percussioni, per arrivare a un’apertura pianistica e melodica del tutto inaspettata. Ma è un inganno: si finisce in bagarre, ed è giusto così.
Si viaggia su ritmi monotoni e voci effettate con Boxe, prima di svoltare su assoli che questa volta possono richiamare i Rick Wakeman e i Keith Emerson del caso. C’è poi L’ultima danza del dittatore, ed è una danza complicata e piena di lustrini, prima che la batteria riconduca tutto a un ordine più razionale. Si chiude con Cantiere, un breve congedo guidato da un pianoforte decisamente malinconico.
La forza di Danza Globulare sta nel contrasto, nella dissonanza, nel suo estremismo: se la melodia vuole spazio, se lo deve conquistare, deve combattere con il rumore, deve emergere dall’abisso e respirare aria nuova. In definitiva anche la vita funziona così, no?