La recensione: “Dormi o mordi”, Babalot #TraKs

artworks-000096071270-7a0ooj-t500x500Quarto lp per Babalot, curiosa formazione che con Dormi o mordi delinea un piccolo universo di suoni apparentemente strampalati ma mai senza senso, e di testi spesso senza senso ma mai strampalati.

Riccardo apre la porta sui testi visionari e infantili, da bestiario favolistico, di Babalot, su un accompagnamento di ukelele e altre bizzarrie acustiche.

Molto più ritmata e concreta Liberarsi, perfino acida e con un atteggiamento punk molto determinato.  Si parla di margherite e di geometria facciale in Nido, appassionata e incasellabile in categorie tipo “pop-rock”, benché le definizioni in questo disco siano sempre da prendere con le molle.

Si torna in acustico con Come Stai, racchiusa in un guscio malinconico e melodico tenuto insieme da pianoforte e chitarra. C’è qualcosa di Rino Gaetano in Macchina, anche se non bisogna esagerare con i paragoni, anche perché qui non ci sono tentazioni vintage o emulative.

Piuttosto tirata (e in parte adirata) 21 marzo, che attraversa fasi differenti e arricchisce l’armamentario autoriale con materiale Farfisa.

Pranzo apre con un riff di chitarra e con coretti in falsetto, e poi innesta una curiosa ballad con pianoforte, accelerazioni e giochi di parole sulla simpatica espressione “resti umani”.

A seguire Macchie, tra il fantasioso e il disperato, con un andamento molto curioso e insistito e un finale corale fuori dalla norma.

La Gente invece apre con i fiati, citando in modo abbastanza trasparente La Pantera Rosa, e prendendo poi un andamento pop e frizzantino che parla di drogati e di gente che ha visto Gesù.

Briciole si trasporta in un’atmosfera simil-country, mentre Ottantaquattro gioca con i ritmi e le sonorità seguendo i fili della surrealtà fino a un finale giocato sul sax.

Tutta voce e sogni per il futuro Evasore, breve intermezzo quasi a cappella prima di Stai attento che è (di nuovo) una filastrocca presa sul serio, come Giovanni Lindo Ferretti che dovesse cantare la sigla di Heidi. Si chiude con Un ragazzo, malinconica su rumori industrial, prima dell’intervento dei fiati e della fisarmonica.

Impossibile seguire il filo dei pensieri che legano le quattordici tracce del disco; eppure un filo c’è. A sorprendere però è la cura con cui sono stati studiati gli arrangiamenti e in genere la parte sonora dei pensieri folli contenuti nei brani. Folli sì, ma molto ben suonati.

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