Esce oggi Endkadenz Vol. 1, il nuovo e molto atteso disco dei Verdena. E siamo qui a parlarne subito, perché, senza voler fare classifiche, i Verdena sono a pieno titolo fra le rock band più importanti, in questo momento e in questo Paese.
Perciò è giusto procedere senza indugi all’ascolto della prima “gamba” del progetto Endkadenz, che vedrà la pubblicazione del secondo disco entro l’estate.
Nel primo volume sono finite tredici tracce di carattere non omogeneo, in cui alla chitarra fa riscontro il pianoforte, con umore malinconico ma anche ironico, con alcuni brani dediti alla metamorfosi continua.
Verdena traccia per traccia
Ho una fissa apre con passo cadenzato ma anche con idee ipnotiche che si dipanano sul percorso, completamente otturato da un’elettricità pervasiva.
Si cambia orizzonte con Puzzle, molto più contenuta e sommessa, ma non dimessa, come dimostrano gli archi e i cambi di ritmo, come se fosse una suite rimasta appena sopra i 4 minuti soltanto per incidente.
Si passa a qualcosa di energico ma anche di ironico con Un po’ esageri, che è stata giudicata abbastanza pop da diventare il singolo di presentazione dell’album. Non che sia un pop da classifica (dentro ci sono i Beatles, un po’ di dark wave, altri indizi sparsi), ma si avverte come l’atmosfera sia un po’ più rilassata.
E infatti Sci desertico torna a mischiare le carte, a confondere, a urlare e sputare elettricità. In primo piano ci sono percussioni rumorose e qualche estremizzazione vocale che può richiamare un Thom Yorke d’annata.
Si resta sul tema invernale con Nevischio, che però traccia linee completamente diverse: siamo sull’analogico, quasi sull’acustico, con il pianoforte e un drumming articolato e, tutto sommato, non rock.
Si tratta, è naturale, soltanto di un episodio, visto che i suoni con Rilievo tornano a occupare manu militari le casse dello stereo, riverberando fino ai confini del noise.
Arriva poi un’altra traccia sghemba, Diluvio, che in parte richiama le idee della precedente Puzzle, ma che viaggia fino al fondo per mettere a nudo tutte le malinconie e le debolezze.
Siccome non ci si può mostrare deboli troppo a lungo, ecco Derek, con ritmiche punk e vibrazioni insistenti. Come di consueto nel disco, ecco che si riabbassano i toni con Vivere di conseguenza, che può richiamare alla mente qualcosa del pop degli anni Sessanta, qualche colonna sonora, qualche idea progressive, in un pezzo dalle molte vite e dai molti sviluppi, propenso al cambiamento e alla trasformazione.
E’ la chitarra a dominare all’interno di Alieni fra di noi, altro pezzo di sostanza elettrica e ingolfato di energia non trattenuta. Contro la ragione fa riapparire il pianoforte e ritmi dal vago sapore sudamericano (che hanno fatto balenare, in qualche intervista, paragoni con Anima latina di Battisti).
Si torna sull’elettrico con l’Inno del perdersi, mentre il finale è affidato al passo cadenzato di Funeralus, in cui le percussioni ripetute dominano la scena, mentre la voce richiama di nuovo alla mente i Radiohead. Anche in questo caso la coda del pezzo parte per lidi lontani, cambiando ritmo e suono più volte.
Si può (e l’abbiamo fatto) leggere un’enciclopedia di influenze all’interno del disco, che è figlio del proprio tempo ma non fa mistero di dare un’occhiata alle proprie spalle quando serve.
Ma l’esercizio può essere utile fino a un certo punto: la sostanza dei fatti è che i Verdena rispondono alle attese con un disco all’altezza, ricco di idee, che alterna istanze di ribellione primigenie a una costruzione ormai matura e attenta anche alla melodia.