“All’inizio volevo fare un concept album…sulla pausa-pranzo. O meglio, sulle visioni di un commesso viaggiatore-artista che solo nel risicato spazio della pausa-pranzo poteva dare sfogo alle sue velleità creative e tra un boccone e l’altro tirava giù gli appunti per un’opera surreale sulla nutrizione”.
Con questa dichiarazione d’intenti la cantautrice Cristina Nico presenta il proprio secondo lp, Mandibole, che arriva quattro anni dopo Daimones.
Il concept album alla fine non è stato tale, ma l’idea non è del tutto cancellata, tanto è vero che il lavoro si incentra spesso sulle problematiche del lavoro, sia di quello cercato sia di quello trovato.
Il brano d’apertura è Le creature degli abissi, morbida e malinconica, non totalmente rappresentativa del disco che seguirà. Già con Formaldeide l’atteggiamento cambia: senza essere furibonda, fa intuire un atteggiamento più aggressivo e non lontano dal punk.
L’inopportuna alza il livello del ritmo e offre un quadro più rock ai racconti della Nico. Cocoprosit rallenta un po’ ma risuona profonda, affrontando con tono del tutto personale il tema della precarietà del lavoro.
Più leggero il clima di Giorno dopo giorno, che pur non disdegnando linee di batteria in evidenza e un sound vagamente beatlesiano mantiene i ritmi sotto controllo.
La Litania dei pesci parte da concetti tipo PJ Harvey per approdare a un coretto popolare decisamente sorprendente. Arriva poi la title track Mandibole, uno dei punti più alti e dei brani più intensi del disco, tracciato dalle sgasate di chitarra ma anche punteggiato da cori, con una struttura montata in modi curiosi.
A proposito di intensità, in Meteoropatia la cantautrice alza decisamente la voce, alzando il livello della rabbia e mettendo in mostra doti vocali sin qui sopite, nell’arco dell’album. Si chiude con la cover di Mother Stands for Comfort, un omaggio a Kate Bush fatta scegliendo però un pezzo non proprio scontato del repertorio dell’artista inglese.
La qualità di scrittura è il pregio migliore del disco, prima ancora della capacità di cambiare scenario sonoro e di costruire canzoni non proprio rettilinee.
Il disco procede infatti per accelerazioni improvvise e per rallentamenti altrettanto bruschi, probabilmente echeggiando il carattere della cantautrice. Il risultato è di ottimo livello.