ritmo tribale mantraBenché qui a TraKs si passi metà della giornata a lamentarsi di quanti (troppi, troppi, troppi) dischi nuovi escano ogni secondo, abbiamo deciso di complicarci ulteriormente la vita parlando anche di ristampe di dischi vecchi, ogni tanto e solo quando è il caso.

Qui è il caso: 22 anni dopo l’uscita si ristampa Mantra, il migliore e più significativo degli album dei Ritmo Tribale. La reissue sarà pubblica a partire dal 20 giugno, con una rimasterizzazione eseguita dall’ingegnere del suono Marc Urselli e con la grafica curata da Luca “Solo Macello”.

Spin On Black ripubblicherà il disco in 180 grammi gatefold, con booklet arricchito da una nuova impaginazione dei testi e foto dell’epoca riadattate alla nuova veste grafica.

Ritmo Tribale traccia per traccia

Il nuovo “abito” sonoro del disco è evidente fin dalle prime note dell’Intro, che si lega a L’assoluto in un inizio tempestoso che riportava alla luce le radici internazionali del sound della band, ma anche una genuina aggressività mai del tutto svanita, benché ovviamente più temperata rispetto a episodi precedenti, tipo Kriminale.

Madonna conferma le qualità del drumming, introduce il controcanto di Scaglia, fa crescere gradualmente la qualità del disco con schitarrate potenti ma lasciate in qualche modo in secondo piano, riuscendo a ottenere il massimo dai contenuti onirici del testo senza lasciare in secondo piano le sonorità.

Si arriva così a uno degli apici dell’album, Sogna (a proposito di contenuti onirici), una ballad che all’epoca lasciò spiazzati in parte i fan della prima ora, ma che mostra una faccia diversa e più completa delle possibilità della band. In questo caso il restyling sonoro si apprezza in modo particolare, con il lavoro sui bassi che emerge senza però oscurare il resto. “Dentro un uomo che sogna/in un mondo che affonda/dentro un uomo che sogna…”

Si torna a modalità decisamente aggressive con Hanno tradito, cantata da Scaglia con Edda ai cori, con le tastiere acide a fare da contraltare a chitarre qui protagoniste e molto potenti. Risonanze evocative, che di nuovo fanno emergere il prezioso lavoro di Urselli, nell’apertura di Sire, che mescola dimensioni da sogno e suggestioni cavalleresche/magico/medievali, curiose per una band hardcore ma piuttosto frequenti nei testi di Edda.

Altra “punta” del disco è La mia religione, che pur cavalcando una struttura piuttosto lineare, mette tutta la potenza al servizio di un brano fluido, in cui trovano posto perfino degli archi, sintetici e isterici. I bassi di Antimateria arrivano poi a intorbidire le acque e a calare il discorso su temi di rimpianto e rivincita.

L’alternanza tra canzoni irose e cupe prosegue con Ti detesto II, per molti motivi la più legata ai dischi precedenti e non a caso anche la più acida e collerica del disco, con un ritornello che è un’improbabile e imprevedibile citazione del cantautore francese Michel Fugain.

Si arriva così ad Amara, forse il pezzo migliore in assoluto del disco e della carriera della band (insieme a Huomini): è il basso a reggere le fila del pezzo, con un riff slappato e insistente, sul quale si inseriscono, a turno, il pianoforte, chitarre slabbrate e tonanti oppure psichedeliche e insinuanti, le voci di Edda, che regge la trama complessiva, e di Scaglia, che alza i toni nella seconda parte, quando è tempo di esplodere.

Ma non c’è tregua: arriva Buonanotte, che però non è né notturna né tranquilla. Con ritmi e sonorità quasi funky, ma molto più tirate, la band esplora le modalità del crossover disseminando di acido le svariate ferite esposte nell’arco di un pezzo che riesce a essere sia critico sia elogiativo delle fughe mentali che allontanano dalla realtà (tema portante di tutto il disco). Si arriva così a una meritata pausa con La verità, di cui va sottolineato anche l’assolo di chitarra nel finale, per un pezzo complessivamente tranquillo ma con scintille d’ira che si perdono qui e là.

Ecco quindi la cover di Ma il cielo è sempre più blu, dove l’originale di Rino Gaetano è trasfigurato per far emergere la carica rock e di contestazione che il pezzo contiene a livello implicito. Altro che versioni pubblicitarie edulcorate o ignobili reinterpretazioni pop fatte più tardi: chi muore al lavoro/chi prende assai poco sono i versi centrali, come i RT dimostrano di aver capito perfettamente.

Mantra si chiude con Il Male+Outro, via d’uscita notevole, che evoca paesaggi mistici e ancora tematiche da tavola rotonda mescolandole con idee personali e private. La chitarra conduce verso panorami psichedelici, ma spuntano anche i fiati a produrre un effetto complessivo al contempo straniante e focalizzato, prima delle ultime note che possono chiamare in causa nientemeno che l’hip hop.

Oggi come nel 1994 la sensazione che trasmette il disco è quella di una band completa, matura, consistente e pronta a decollare per lidi che invece non raggiungerà mai, lasciando il posto ad altre band come Marlene Kuntz o Afterhours. E non soltanto per l’uscita di Edda: il pur positivo Psycorsonica, arrivato l’anno dopo, segna comunque l’inizio del declino della band.

La nuova veste sonora e il lavoro di rimasterizzazione aiutano a comprendere meglio la versatilità di una band che aveva rinunciato a essere monolitica, sottolineando tutto ciò che forse nella versione originale era spesso nascosto ora dalla potenza delle chitarre, ora dal drumming.

Ma il fatto che le promesse non siano poi state mantenute non toglie nulla al valore di Mantra e dei Ritmo Tribale, capaci di suonare attuali e vivissimi anche vent’anni dopo, scrollate di dosso alcune ingenuità degli inizi e abbracciato un suono potente ma versatile, in grado di disseminare di piccole perle incazzate un disco per certi versi irripetibile.

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