Quattro anni dopo l’esordio tornano i Kisses From Mars e lo fanno con Not Yet, un disco ricco di sensazioni psichedeliche e post rock (qui la nostra recensione). Abbiamo intervistato la band.

Sono passati quattro anni dal disco precedente: come siete cambiati come band in questo periodo?

Innanzitutto siamo cambiati molto a livello personale, siamo cresciuti, sopratutto nell’ultimo anno e mezzo e ovviamente la nostra musica è cresciuta con noi.

Dal punto di vista tecnico siamo rimasti in tre passando da una formazione più “classica” di basso, batteria, chitarre, voci  e tastiere a una formazione di tre chitarre, loop, un timpano con un piatto, voci e riverberi. Questo ha dilatato le ritmiche portandoci sempre più verso un sound che a noi piace definire “landscape”.

Che tipo di momento fotografa, per voi, “Not Yet”?

Un momento in cui stiamo maturando come musicisti e come band, soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza della nostra arte, “Not Yet” perché manca poco all’arrivo del prossimo gradino, del prossimo step, è un po’ come nei videogiochi quando stai per arrivare allo schema successivo e questo disco ne rappresenta il punto limite, il manca poco…

Mi sembra che la lunga suite che dà il titolo al disco sia in qualche modo il punto nodale di “Not Yet”: potete raccontarmi qualcosa sul brano?

Già da tempo la fisica ci spiega come la percezione del tempo sia del tutto relativa, basta semplicemente guardare come una giornata mentre si stanno facendo tante cose in una volta sembri cortissima, mentre se la si passasse fermi,  a osservare il vuoto o qualsiasi altra cosa sembri quasi infinita.

Il brano non è altro che una canzone ascoltata a un’altra velocità sia dal punto di vista del minutaggio sia delle frequenze, dimezzandone questi parametri si percepisce tutt’altra cosa.

Questo è “Not Yet” un brano ascoltato con un’altra percezione temporale, un messaggio che mandiamo a tutti (e innanzitutto a noi stessi) sul valore che ha il tempo in queste vite sempre più veloci dove non ci si sofferma su quasi nulla.

Il disco è molto curato dal punto di vista delle sonorità e dei particolari: si spiega così anche la scelta del vinile?

Assolutamente si! La cura e l’attenzione prestata ai suoni e alla loro amalgama ha impiegato moltissime (forse la maggior parte) delle energie, insieme a Paolo Baldini, Andrea Lepri ed Enzo Cimino siamo riusciti a valorizzarli al meglio in una full immersion nella loro casa di Chiesuola.

In 5 giorni abbiamo fatto tutto (compresi i mix) in un’esperienza che difficilmente dimenticheremo, anche dal lato umano. Il vinile è stato quasi inevitabile, un modo per fermare il tutto su un supporto molto più durevole e adatto al tipo di lavoro.

Dal vivo i vostri concerti hanno anche un aspetto “visual” in più: potreste raccontarmi che cosa succede di solito e che cosa si può aspettare chi vi viene a vedere?

Possiamo tranquillamente dire che in realtà esiste un’altra Kisses From Mars che opera da un paio di anni al progetto e si chiama Silvia Bigi.

Fotografa, Video maker, e artista è il tocco femminile al nostra musica, alle nostre foto, al nostro esprimere i concetti. Dal vivo (ove possibile) suoniamo accompagnati da suoi lavori video che rendono più suggestive le atmosfere.

Si tratta di video che lei crea a prima dei live in maniera spesso molto istintiva e autonoma dal punto di vista artistico (come il corpo che respira in mezzo alle foglie di dissolves) e che poi dal vivo gestisce in diretta come un vj.

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