L’intervista: nel frullatore di calendari dei Dilaila

Foto di Sonia Martini

E’ uscito da poco Tutorial, il nuovo capitolo della carriera dei Dilaila (qui la nostra recensione). La forza e l’ironia delle canzoni del gruppo di Paola Colombo si rispecchiano in una serie di tracce che stemperano una certa amarezza di fondo con prospettive a volte tenere e spesso vintage. Qui le risposte di Paola Colombo alle nostre domande.

Sono passati quattro anni da “Ellepi”: vorrei sapere a grandi linee che cosa è successo alla band in questo lasso di tempo.

Intanto ci siamo goduti il lungo tour di Ellepi. Poi abbiamo partecipato a due tributi discografici interessanti: uno agli Scisma e uno a Elliott Smith. Nel frattempo scrivevamo e provavamo nuove canzoni.

Molte sono state accantonate, ma questo è un processo quasi fisiologico quando si sta cercando l’identità da dare a un nuovo album. Una ventina invece è finita in studio di registrazione e da un’ulteriore selezione sono emerse le nove tracce che compongono “Tutorial”.

L’intento iniziale era quello di dare un seguito a Ellepi il più vicino possibile nel tempo, ma poi abbiamo semplicemente rispettato il nostro orologio biologico e preso le cose con più calma.

L’incontro con Niegazowana, la nostra etichetta, è di qualche mese fa ed effettivamente da allora è stato un vero e proprio rush finale.

Qual è il vissuto alla base di questo disco, che a giudicare dai testi mi sembra piuttosto personale?

Certamente ti confermo il carattere autobiografico di molti dei testi di “Tutorial”. Senza entrare in dettagli che annoierebbero chi legge direi semplicemente che ho vissuto anni complicati, in cui ho dovuto fare i conti con il lato oscuro della mia personalità.

In circostanze difficili è emerso con una potenza tale da spaventare me per prima. Quello che abbiamo cercato di fare con questo disco è raccontare la fase successiva a questi sconvolgimenti. Quella in cui l’annichilimento è tale da diventare purezza, da suscitare anche una risata, da diventare il germoglio della rinascita.

Perché la scelta di un titolo, “Tutorial”, molto “moderno” in contrasto con le sonorità da voi adottate e ricercate? Che cosa vi sentite di poter insegnare a chi vi ascolta?

Intanto ci piace proprio il contrasto che si crea fra l’accezione moderna e tecnologica della parola “Tutorial” e l’immaginario un po’ retrò che le canzoni evocano.

Poi credo che quella parola abbia un’eleganza intrinseca, sia estetica che semantica, così come lo credevo di “Ellepi” per il disco precedente.

I tutorial che girano oggi sul web trattano tutti argomenti molto concreti: ti dicono come truccarti, come riparare la coppa dell’olio della tua auto o come realizzare la torta di mele perfetta.

Noi con un po’ di gusto per il paradosso ci siamo chiesti come sarebbe realizzare dei tutorial “impossibili” sui massimi sistemi, su quale sia il senso della vita e dell’amore, su come affrontare la crisi economica e di valori, su come sconfiggere i propri mostri.

Ovviamente si tratta di indicazioni scaturite dall’ironia e da interpretare con altrettanta ironia.

Mi ha incuriosito molto “Il Gran Sole di Hiroshima”: ricordo di aver letto l’omonimo libro da ragazzino e mi aspettavo qualche riferimento diretto alla tragedia narrata nel libro, mentre avete scelto una strada molto più sfumata e poetica…

Sono contenta che anche tu abbia letto quel libro, lo trovo un esempio “alto” di letteratura per ragazzi.

Racconta una tragica vicenda storica e umana, è vero, ma a colpirci maggiormente è stata la potenza metaforica della storia di questa bambina che in mezzo a tante avversità, con una malattia che la divora da dentro, rimane strenuamente aggrappata a qualcosa che le dà la forza di vivere.

Mi ci sono rivista in qualche modo. In fondo la canzone parla della tensione che tutti abbiamo verso il sublime, verso qualcosa che dia un senso alla nostra vita.

L’immagine meravigliosa degli origami nel romanzo rende perfettamente l’idea di quanto questo qualcosa sia spesso delicato e sfuggente.

Anche “Radio ’96” mi sembra una canzone molto particolare: già normalmente le vostre canzoni sembrano prendere le pagine del calendario e frullarle, ma qui ci sono un anno nel titolo, una citazione di Sinatra, forse delle sonorità che evocano volutamente “People are strange” dei Doors… Insomma come nasce il pezzo?

Ahah, devo dire che nel disco ci sono diversi omaggi voluti (e fatti alla luce del sole) a grandi artisti e band del passato, ma in questo caso non c’è stato nulla di volontario.

Però posso confermarti che i Doors sono certamente un riferimento importante per tutti. In particolare Jim Morrison è proprio uno degli abitanti del mio Olimpo personale (e molto trasversale devo dire!) di cantanti-divinità.

Abbiamo sempre avuto sin dal primo disco la propensione a utilizzare date, giorni della settimana, mesi e anni nei nostri testi. Spesso la collocazione temporale ha una grande potenza evocativa, crea un immaginario.

Nel caso specifico la canzone parla di questa nostra generazione che negli anni ’90 era adolescente e ascoltava gli ultimi grandi dischi del rock, generazione confusa, troppo vecchia e troppo giovane insieme, autoreferenziale e strabica: un occhio guarda al passato e uno al futuro e nel frattempo si sta immobili.

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