L’intervista: Novanta, fonti d’ispirazione e sentimenti radicali #TraKs
Lui è Novanta, ma anche Manfredi Lamartina: di giorno giornalista e scrittore, di notte (o quando gli pare, però dire “di notte” è nettamente più suggestivo) musicista, con spiccate tendenze dream pop, shoegaze, post rock. Ecco la nostra intervista.
Puoi raccontare qualcosa della tua storia e del doppio ruolo di chi fa musica e di chi ne parla su libri e giornali?
Effettivamente è una condizione piuttosto particolare visto che da anni faccio il giornalista musicale e anche il musicista. Ma mi sento completo così: amo suonare e amo scrivere di musica.
Solitamente quando devo fare una recensione (per esempio su Rockit) tendo a immedesimarmi con i musicisti. Le recensioni più difficili sono quelle negative: cerco sempre di dire la mia (opinabile) verità senza essere inutilmente aggressivo ma senza nemmeno essere buonista.
A volte non la prendono bene ma è normale, capisco la delusione. Capisco meno quando si mette in dubbio la buona fede di chi scrive. Tanto più che una recensione negativa non è un marchio per la vita. Mi è capitato più volte di stroncare un disco e promuovere a pieni voti quello successivo della stessa band.
Come nasce l’idea di “10-14”, il libro di Urban Apnea che hai firmato insieme ad alcuni colleghi, parlando di numerosi dischi usciti nei primi cinque anni del decennio?
L’idea nasce da un presupposto: il fatto che per qualcuno l’ultimo quinquennio sia stato un flop dal punto di vista musicale. Così i tipi di Urban Apnea Edizioni (fantastici, appassionati e competenti come pochi) hanno contattato dieci persone, tra i quali il sottoscritto, per raccontare i cento album migliori di questi cinque anni.
È anche un modo per fare un primo punto della situazione della musica degli anni Dieci. Viene fuori un affresco bello e a volte sorprendente. Ogni autore ha raccontato con il proprio stile un piccolo scorcio di questi cinque anni, mescolando il generale con il particolare e l’universale con il personale.
Il libro è un ebook interattivo in pdf, scaricabile gratuitamente su urbanapnea.it. Per ogni album ci sono collegamenti con Spotify, così da permettere un ascolto delle canzoni durante la lettura. Funziona.
Perché la scelta di andare a effettuare la (difficile) ricerca delle “perle nascoste”?
Perché ci sono dischi che meritano di emergere dal rumore di fondo di una produzione discografica ormai sterminata e complicata da seguire. La scelta è stata difficile, ho dovuto lasciare fuori tantissimi nomi e ogni assenza è un colpo al cuore.
Tra i dischi che ho scelto il mio preferito è Perils from the sea di Mark Kozelek e Jimmy LaValle: da musicista ti dico che è una fonte d’ispirazione preziosa.
Hai pubblicato qualche mese fa il tuo ultimo lavoro sotto il moniker Novanta, “Best-selling Dreams”: con quali premesse e in quale contesto hai realizzato il disco?
Il disco è uscito qualche mese fa per Seashell Records, una piccola e ben curata etichetta palermitana-berlinese. L’album è stato pubblicato in edizione limitata in cassetta (esaurita in poco tempo) e in digitale, si può reperire attraverso il Bandcamp di Seashell Records (seashellrecords.bandcamp.com) oltre che attraverso i soliti Spotify e Deezer.
Novanta nasce come progetto solista ma questo disco è frutto del lavoro di un collettivo che include Claudio Cataldi, Bialogard, Giampiero Riggio e Giuseppe Musto (Il Ragazzo Del 99).
È un disco casalingo, realizzato in ore notturne con Telecaster, iPad e Mac. Dal vivo suoniamo in trio e solitamente siamo più rock che su disco, anche se non tralasciamo l’aspetto elettronico.
Le influenze che si avvertono nel disco vanno dal post rock allo shoegaze all’elettronica contemporanea: ma a te che cosa piace ascoltare?
Ho ascolti molto vari, dovuti inevitabilmente al lato giornalistico della mia vita. Ultimamente ho apprezzato “Perfect Laughter” dei Sycamore Age, “Glaive” di Nathan Fake, “Paura” di Felpa.
Musica e letteratura si mescolano anche nel tuo disco, visto che “La maledizione degli affetti” è ispirata al libro omonimo di Andrea Consonni: come nasce il brano?
Avevo letto tempo fa il libro, che è una riflessione amara e a tratti feroce della vita umana nell’Italia sfatta di oggi. Andrea Consonni riesce a toccare punti molto sensibili, descrivendo sentimenti radicali e profondissimi che chiunque ha provato almeno una volta nella vita.
Così ho immaginato una colonna sonora immaginaria per il libro. L’idea era di creare un brano che accompagnasse la narrazione, senza sovrastarla, anche se poi è stato inevitabile attaccare un crescendo nella parte finale che in qualche modo chiudesse il disco in un modo coerente e naturale.
Una sorta di piano sequenza rallentato, un campo lunghissimo che abbraccia tutto, con i dettagli del mondo che sfumano a poco a poco.
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