10636769_10152425056142756_4091545334942709939_oUn nuovo disco, ma anche numerose altre attività per Ottodix: Alessandro Zannier pubblica Chimera e lo accompagna con un cortometraggio e una mostra itinerante (qui la recensione dell’album). Abbiamo intervistato Ottodix.

Perché un album dedicato programmaticamente alla fine delle utopie e perché in questo momento?

Perché respiro quello che mi sta attorno, come tutti: disagio, tensione, instabilità e incertezza per il futuro, malcontento e tensione, oltre a un deciso “imbarbarimento” dei rapporti personali e del livello di discussione.

Essendo un artista credo di avere il dovere di rielaborare queste sensazioni e cercarne una sintesi da proporre alla gente. Gli artisti a mio giudizio dovrebbero occuparsi esclusivamente di questo, mettendo al servizio della contemporaneità i loro talenti vari, manuali o mentali che siano.

Credo che l’intellighenzia intellettuale ultimamente si sia un po’ avvitata su se stessa in una sorta di casta elitaria, perduta nei sofismi dell’analisi formale e collegata al mondo solo in modo epidermico e patinato o di tendenza.

Credo che stiamo vivendo i primi anni di un secolo completamente nuovo negli avvenimenti, che sfuggono veloci e su scala mondiale, ma che non riusciamo ancora a leggere perché siamo ancora imbrigliati in retaggi e ideologie, in schemi e modi di concepire società, politica, rapporti umani e ambiente, molto, troppo novecentesca.

Ecco perché sia in arte che in musica mi sono proposto di suggerire di visualizzare i “mostri”, le paure e i tabù da infrangere e superare. Quasi come una seduta psicanalitica collettiva. Visualizza il problema e lo potrai eliminare, superandolo.

Il disco è accompagnato da mostre itineranti e da un cortometraggio: puoi svelarci qualche particolare in più del progetto complessivo e della sua ispirazione?

Le mostre sono già partite e hanno toccato dal 2013 Venezia, Berlino, Treviso, Marsiglia, Pechino (Biennale Cina-Italia) e ora, dal 21 novembre, Verona, presso la galleria ARTantide.

A ogni mostra è collegata una mia esposizione di opere e la presentazione di volta in volta di un mostro-feticcio da abbattere, che spesso coincide con creature ibride, immaginarie e inquietanti, che rielaborano la figura mitologica della Chimera in chiave attuale.

Chimera come sinonimo di utopia, ma con un’accezione negativa di “fallimento” di un ideale, di una rincorsa fallita e già a fine percorso. Mentre l’album collegato è dedicato al concetto di “utopia” inedita, quindi dedicata all’auspicio di nuovi sogni da rincorrere.

E’ un album dedicato ai visionari e all’importanza di ascoltare le voci fuori dal coro, che propongano soluzioni inedite per uscire dall’impasse in cui dichiaratamente stagna la cultura occidentale.

Nonostante le atmosfere plumbee da apocalisse, è un album esorcizzante, che incita a una rivoluzione, a un’autoanalisi e a una rinascita, quindi un album positivo e propositivo.

Il cortometraggio di 15 minuti dallo stesso titolo, sarà curato da Vittorio DeMarin, con il quale ho lavorato a stretto contatto sull’estetica del progetto, cercando di portare in esso il lavoro grafico da me realizzato nel booklet del cd.

Per il resto sarà una reinterpretazione del regista dei temi di Chimera, con un soundtrack strumentale estrapolato dalle arie del disco. Gli ho lasciato carta bianca.

Una delle canzoni più “politiche” del disco mi sembra “King Kong”: vorrei sapere come nasce.

La canzone scritta più di getto dell’intero album. Volevo trovare un’incarnazione allegorica della furia cieca che bolle sotto la scorza della gente comune, (e quando intendo gente intendo povera gente, a cominciare dagli africani fino alle classi operaie cinesi e a noi europei) che sta mandando giù troppo abuso di potere subito da chi sta più in alto, pur avendo la colpa di avere concesso a questa classe tutto il potere che ha, per indolenza o per ignoranza, che in un’era come la nostra, abbastanza scolarizzata, non è più giustificabile a questi livelli.

Forse sto parlando più dell’Italia che di altri Paesi europei, ma io vivo qui e l’humus che respiro è per forza questo. King Kong è la furia cieca che, se provocata, può spezzare le catene e distruggere senza logica ogni cosa.

E’ una figura ambivalente che da una parte è giustificata dai soprusi subiti, ma dall’altra è ingiustificabile nell’utilizzo della forza distruttiva senza alcuna mediazione della logica e della ragione.

Credo sia una canzone-monito contro tutti quelli che in politica cavalcano una facile demagogia populista facendo leva sul malcontento della gente e sulla sua incapacità di leggere tra le righe e oltre le sparate a effetto, spesso prive di fondamento e concretezza.

Viviamo in una società estremamente complessa e i problemi non si risolvono spaccando tutto, come una scimmia inferocita; bisogna studiare, informarsi e capire  l’avversario con intelligenza, intervenendo chirurgicamente sul male, anche perché in parte siamo corresponsabili di quello che accade o che abbiamo lasciato accadesse.

Un altro pezzo che mi ha incuriosito molto è “Napoleone”: posso conoscere la sua genesi?

Sono un amante di Kubrick. Il suo progetto sul film mai realizzato dedicato a Napoleone (e sfociato poi in Barry Lyndon) mi ha sempre affascinato e da tempo avrei voluto dedicare una canzone a questa figura controversa.

Era un visionario a suo modo e in un album dedicato agli utopisti  finalmente poteva trovare il suo posto, anche perché porta con se il retaggio del periodo illuminista con cui ho “condito” di citazioni tutto l’album.

Credo che stiamo vivendo in un periodo simile al post-Barocco e Rococò, per fare un parallelismo temporale, quindi il mio auspicio è che un nuovo Illuminismo aggiornato sia alle porte.

Per questo ho citato gli architetti visionari Boullée, Ledoux e tutta quella scuola di precursori della fantascienza urbana, che all’epoca erano additati come visionari.

Napoleone rappresenta l’impeto e lo slancio rivoluzionario, la voglia di cambiare il mondo combattendo, fino a distruggerlo in un bagno di sangue e a ottenere paradossalmente il contrario, la Restaurazione.

E’ una figura controversa, pecora nera dell’Illuminismo, ma estremamente sfaccettata e affascinante e mi pare che ci siano pochi esempi di trasposizione in musica “leggera” della sua figura.

Ovviamente, non essendo un guerrafondaio, ho preferito trasformarlo nella metafora di colui che combatte per una causa persa fino alla fine, perché è nella lotta e nella ricerca che si appaga l’esistenza, non per forza nel raggiungimento dell’obbiettivo.

E’ un po’ come la faccenda di Achab con Moby Dick. Napoleone è, in Chimera, un amante disperato che giura di conquistare una donna che lo rifiuta o che gli ha voltato le spalle, costi quel che costi, fino all’ultimo soldato, oltre ogni Waterloo e ogni esilio.

Nella sua caparbietà, in generale, e nell’affrontare sfide più grandi di lui come stimolo per stare in vita, in fondo mi riconosco abbastanza. E poi, “credersi Napoleone” è sinonimo di pazzia, dicono, e i pazzi sono un’altra categoria di visionari da ascoltare, ogni tanto.

2 thoughts on “L’intervista: Ottodix e la psicanalisi collettiva #TraKs”

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