Abbiamo parlato del loro ep, Non Basta Vivere, giusto qualche giorno fa (ecco qui la recensione). La band si chiama The Ophelia’s Nunnery e riempie le tracce di rock-pop ben scritto e ben eseguito. Li abbiamo intervistati.

Potete raccontare la vostra storia e, già che ci siamo, l’origine del nome della vostra band?

Siamo amici da una vita, abitiamo a pochi metri di distanza l’uno dall’altro e in sostanza siamo cresciuti nelle stesse scuole e nelle classi dai tempi dell’asilo. All’inizio in tre, poi con l’aggiunta di Matteo alla voce e chitarra, ancora diciassettenni, siamo partiti con i primi live, conoscendo poco a poco la scena musicale in Brianza e fuori.

Il nome è stato preso in prestito dall’Atto III di Hamlet di Shakespeare, e deriva da un eufemismo ( “get thee to a nunnery, go.”) ripetuto più volte da un Amleto in preda alla pazzia nei confronti di Ofelia.

Il tutto fu spiegato durante una lezione di letteratura inglese di terza liceo, con il relativo significato retorico, e la cosa ci colpì molto (ci fece ridere soprattutto). Da qui quindi il nome “The Ophelia’s Nunnery”.

L’ep raccoglie la storia dei quattro anni che ci avete messo a realizzarlo: qual è stata l’atmosfera che ha accompagnato la realizzazione delle canzoni?

Possiamo dire che era nostra intenzione formare un gruppo forse ancora prima di saper realmente suonare uno strumento. Perciò siamo cresciuti musicalmente insieme, partendo tutti quanti da zero fino al momento in cui ci siamo sentiti pronti per un primo ep.

Non Basta Vivere per noi è quindi il frutto di questi primi quattro anni, anche se la scrittura dei cinque pezzi è stata influenza principalmente dagli avvenimenti più recenti.

E se continua a sopravvivere quell’anima un po’ spensierata delle prime esperienze adolescenziali, sicuramente adesso ha preso il sopravvento la consapevolezza di aver intrapreso un progetto serio, con tutte le soddisfazioni e delusioni che ne conseguono.

Mi incuriosisce molto il testo di “Martedì”: come nasce?

Il testo di Martedì è l’unico a essere stato scritto a 8 mani, ed è quindi anche quello che ci rappresenta maggiormente. Descrive quello che per noi significa stare su un palco, la possibilità di vivere qualcosa di diverso e solo nostro, che si distacchi dai canoni comuni, senza però cadere nell’autocelebrazione e consapevoli che un palco ha senso solo se c’è qualcuno sotto.

Da ciò l’immagine ironica di un “divo”, che ritorna in scena in uno dei giorni più inutili della settimana, e che ha bisogno, senza troppe scuse, del suo pubblico per poter mantenere questa sua posizione.

Avete già una buona esperienza dal vivo: avete già testato sul palco le nuove canzoni durante i concerti? E se sì, che risposta avete avuto?

Sì, abbiamo già provato a proporre i nuovi pezzi durante gli ultimi concerti che ci hanno visto impegnati da marzo fino a luglio, e dobbiamo dire che la risposta è stata molto positiva, soprattutto nelle occasioni più importanti con il pubblico più numeroso, come le semifinali di ArezzoWave Lombardia, oppure la trasferta marchigiana che ci ha visti suonare prima dei Nobraino all’Indietiamo Festival.

Avete già del materiale pronto per un eventuale lp?

Certo, abbiamo già pronti 4-5 pezzi nuovi in cui stiamo cercando di sperimentare a livello di sonorità e composizione, e che verranno ultimati e rivisitati anche in vista della risposta critica che avrà questo primo lavoro.

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